di Mario Sirimarco

La pubblicazione nel 2015 della Laudato sì (Lettera enciclica sulla cura della casa comune) di Papa Francesco ha suscitato, come era ampiamente prevedibile, un dibattito notevole scatenando reazioni opposte. Accanto a sostenitori entusiasti, che hanno esaltato i contenuti dell’enciclica ed acclamato il Papa come nuovo leader di una sinistra mondiale smarrita, ci sono stati anche critici feroci e sprezzanti (ricordo un editoriale di un importante quotidiano nazionale che ha definito quelle del Papa un mucchio di sciocchezze). Comune ad entrambi gli schieramenti un approccio superficiale e una lettura a piacere dei paragrafi che fanno più comodo, senza considerare le coordinate teoretiche, teologiche ed etiche nelle quali il documento si colloca in tutta la sua complessità.

Prima di sviluppare alcune riflessioni su questo importante testo (e di come considerarlo nell’ambito della dottrina sociale elaborata dai predecessori di Bergoglio), è però essenziale, seppur brevemente, vedere come la stessa dottrina sociale si sia inserita con la sua autorevolezza nel dibattito etico-ambientale non solo per quanto riguarda la riflessione di natura essenzialmente teoretica sulle cause della crisi ecologica ma anche per fornire una serie di indicazioni e suggerimenti per gli aspetti pratici e quindi morali giuridici politici ed economici. Tale operazione è molto utile perché spesso, dolosamente, è stato trascurato nel dibattito etico-ambientale l’apporto della dottrina sociale della Chiesa e più in generale della cultura cattolica.

Cristianesimo e crisi ecologica.

Fin troppo note le accuse che l’etica ambientale nella sua versione più radicale ha rivolto e rivolge al cristianesimo. L’ecologismo della cd. deep ecology attribuisce senza mezzi termini la responsabilità della crisi ecologica al cristianesimo: è l’antropologia cristiana, con l’etica che ne deriva e cioè un’etica imperniata sulla considerazione della maggiore dignità di un essere creato a immagine e somiglianza di Dio, la causa prima della crisi ecologica.

Tanta parte della letteratura ecologista si è mossa in questa direzione. Uno dei padri dell’ecologismo, Ald Leopold, è stato il primo a teorizzare “l’etica della terra”, l’idea, cioè, della terra come comunità biotica, come terzo stadio di una evoluzione che ha portato l’uomo da conquistatore a cittadino e membro effettivo della terra. Se nella prima tappa di questa evoluzione, caratterizzata normativamente dai dieci comandamenti, si pone l’accento in particolare sulle relazioni morali tra un individuo e gli altri individui, nella seconda tappa i doveri dei singoli sono rivolti anche verso la società nella sua unitarietà. Manca però la consapevolezza della necessità di allargare l’ambito della considerazione morale alla natura, e al rapporto uomo natura, che diventa invece obiettivo della terza fase di questa sintesi evolutiva. Dalla consapevolezza della necessità di estensione dell’etica e quindi di ripensamento della morale tradizionale, prenderà le mosse, come è noto, più compiutamente la proposta bioetica di Hans Jonas (che diventerà non a caso un punto di obbligato passaggio di tutta la letteratura etico-ambientale) di una nuova responsabilità come nuovo principio, come nuovo imperativo morale. Lungi dal vagheggiare il ritorno ad una concezione sacrale della natura, la Land Ethic per la prima volta si propone di tradurre sul piano normativo le acquisizioni della scienza ecologica gettando le basi della visione olistica, o ecosistemica, che caratterizza l’ecologismo radicale. Non è possibile in questa sede dare conto delle innumerevoli implicazioni teoretiche ed etiche di questa concezione, vorrei solo ricordare problematicamente che in queste posizioni “la natura si risolve nella cultura e viceversa, la cultura non è altro che l’elaborazione trascrittiva dell’evoluzione della natura”. Anche le conseguenze sul piano giuridico, detto per inciso, risultano alquanto problematiche, risolvendosi, la proposta ecologista, in una sorta di giusnaturalismo biologico, arcaico. Comunque, tutti gli eticisti ambientali in versione deep avranno per Leopold un debito di riconoscenza.

Un altro autore merita una rapidissima menzione perché la sua tesi è stata quella che, in modo direi abbastanza sproporzionato, ha avuto più largo seguito nel dibattito etico ambientale, soprattutto anglosassone, nonostante la grossolanità di talune affermazioni. Si tratta di Lynn White che, in un celebre articolo sempre citato dagli ecologisti radicali, accusa la tradizione ebraico-cristiana perché essa “ha sottolineato l’eccezionalità dell’uomo rispetto agli altri viventi; ha sancito la separazione e la superiorità del primo rispetto ai secondi, investendolo di attributi metafisici e facendone uno straniero in terra; ha privilegiato le componenti riflessivo-spirituali su quelle fisico-corporee della natura umana; ha collocato l’uomo in posizione di anello finale del mondo vivente, rafforzando l’idea che tutte le cose siano create a suo uso e consumo, ha autorizzato infine lo sfruttamento umano dell’ambiente e ha presentato conforme alla volontà di Dio che l’uomo sottometta la natura”.

Quindi l’epistemologia del dominio come causa prima di natura teoretica della crisi ecologica viene ricondotta sic et simpliciter all’antropocentrismo cristiano con la conseguenza che tutto il paradigma su cui si fonda l’ecologismo radicale si alimenta su questa ingenerosa polemica verso il cristianesimo. Ecco perché molti invocano una nuova etica, una nuova religione e una nuova metafisica: molti movimenti ecologisti hanno avuto, infatti, una spiccata matrice spirituale e religiosa attingendo ad un vasto campionario antimoderno di vecchie e nuove divinità, di Gaia, intesa paganamente come un organismo vivente, o ad altre forme di neopaganesimo con un mix di condimento di religioni orientali e, per non farsi mancare niente, vagheggiando il ritorno delle streghe intese come magiche guaritrici. Ed ecco perché, spesso, parte della cultura cristiana ha reagito rifiutando molte tematiche ambientali sottolineando il carattere ideologico, rivoluzionario, antioccidentale e anticristiano dell’ecologismo.

Alla base di molte di queste tesi mi sembra ci sia un approccio poco approfondito, o quanto meno parziale, ai testi base del cristianesimo e c’è una paurosa ignoranza della straordinaria ricchezza della tradizione cristiana che, se intesa correttamente, contiene gli antidoti teoretici e pratici alla degenerazione patologica del rapporto uomo natura.

Certo se ci si ferma alla lettura di alcuni passi biblici la tentazione di collegare antropocentrsimo dominativo al cristianesimo sembrerebbe fondata. Soprattutto la lettura del primo racconto biblico della creazione è molto forte: “Dio creò l’uomo perché domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le creature selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra” (Genesi, 1,28).

Ma in realtà dall’Antico Testamento, è bene sottolinearlo, si ricavano due differenti letture del dominio dell’uomo (letture del resto presenti anche nel pensiero greco e che richiamano le paradigmatiche posizioni di Trasimaco e Socrate, nella Repubblica di Platone, sulla metafora del pastore); se c’è una lettura che certamente considera l’uomo come una sorta di sovrano assoluto che utilizza il creato a suo piacimento per trarne profitto avendo di fronte una natura che rappresenta solo mero strumento ma c’è anche una interpretazione che vede l’uomo come, appunto, pastore, come colui che si prende cura del creato, del gregge che gli è stato affidato. Come conciliare le due posizioni?

Entrambe le interpretazioni vanno collegate, in realtà, ad una prospettiva teocentrica nel senso che tutto il creato va considerato un inno di lode a Dio come esemplificato nel cantico di Francesco d’Assisi: tutto è creato per la gloria di Dio nel mondo. Alla base della impostazione teologica della Laudato sì c’è, naturalmente, questo riferimento netto. In questo senso l’antropocentrismo cristiano non è deviato, non è dominativo.

L’etica ecologica cristiana, ne troviamo conferma come nella Laudato sì e nelle encicliche papali che hanno affrontato questi temi, si colloca tra antropocentrismo ed antiantropocentrismo perché, da una parte, essa afferma che la natura ha un valore intrinseco perché opera di Dio e quindi non può essere considerata mero strumento, mero oggetto di dominio. Dall’altra parte però, “la diversità degli esseri implica una gerarchia di complessità che giustifica un trattamento differenziato. Nell’uomo la natura raggiunge tutta l’ampiezza delle sue potenzialità ed è in certo qual modo riassunta in tutti i suoi aspetti fondamentali. L’etica ecologica cristiana rifiuta, dunque, l’alternativa drastica tra l’eguagliamento di tutto ciò che ha valore intrinseco e la considerazione strumentale. Non c’è solo la distinzione tra fini e mezzi, ma c’è anche una gerarchia di fini. Ci sono esseri che hanno più valore di altri senza che ciò implichi che quest’ultimi possano essere sfruttati dai primi”.

Gran parte della tradizione cristiana si muove in questa prospettiva etica che possiamo variamente definire di amministrazione della natura, di responsabilità, di cura, di custodia come dice Papa Francesco.

Emblematiche le parole con le quali Dio redarguisce i pastori di Israele riportate da Ezechiele: “vi nutrite di latte, vi rivestite di lana, ammazzate le pecore più profezieI pastori di Israele riportate da Ezechielegrasse, ma non pascolate il gregge. Non avete reso la forza alle pecore più deboli, non avete curato le malferme, non avete fasciato quelle ferite, non avete riportato quelle disperse, non siete andati alla ricerca delle smarrite ma le avete guidate con crudeltà e violenza” (34,1-16).

Il cristianesimo ha anche attuato le significative esperienze del monachesimo basiliano e benedettino che rappresentano un esempio di rapporto armonico con la natura nel quale alla dimensione contemplativa si unisce una sfera di operatività nella direzione di una attiva partecipazione al processo di trasformazione della natura; per non parlare del monachesimo francescano che, ancora più rigidamente, propone un modello di conservazione della natura.

La dottrina sociale (e la filosofia cattolica).

Nel dibattito etico-ambientale spesso si omette di dare il giusto riconoscimento alla riflessione svolta dai cattolici. Senza avere la pretesa di colmare tale lacuna, è il caso di ricordare velocemente alcuni contributi.

Uno dei momenti che in qualche modo segnano la nascita di quella che è stata definita la “filosofia della crisi ecologia” è la pubblicazione nel 1972 del rapporto commissionato dal Club di Roma di Aurelio Peccei sui limiti dello sviluppo, dove si sosteneva, per la prima volta, con una relazione presentata con il manto della scientificità, l’impossibilità di una crescita illimitata della popolazione e nello stesso tempo della produzione in un pianeta con risorse naturali limitate.

Qualche anno prima, nel 1967 Papa Paolo VI pubblicava la enciclica Populorum Progressio che avviava una profonda riflessione sul problema dello sviluppo o meglio dell’integrale sviluppo umano e che si pone come punto di partenza di tutta la dottrina sociale successiva. Del 1971 è la lettera apostolica Octogesima adveniens (a ottant’anni anni dalla Rerum Novarum) con la quale lo stesso Papa ammoniva che “attraverso uno sfruttamento sconsiderato della natura, l’uomo rischia di distruggerla e di essere a sua volta vittima di siffatta degradazione. Non soltanto l’ambiente materiale diventa una minaccia permanente: inquinamenti e rifiuti, nuove malattie, potere distruttivo, ma è il contesto umano che l’uomo non padroneggia più, creandosi così per il domani un ambiente che potrà essergli intollerabile: problema sociali di vaste dimensioni che riguarda l’intera famiglia umana”. Si anticipa, per esempio, quella idea della crisi ecologica come crisi sociale che è alla base della Laudato sì.

Vorrei ricordare che anche la cultura cattolica era attenta ai temi ecologici … anche grazie all’impulso dato dalla Populoruum Progressio.

fanfaniOn. Fanfani

Nel 1971 l’allora Presidente del Senato Amintore Fanfani, cattolico e fine storico dell’economia, tra le ironie dei più, istituì un “Comitato di orientamento sui problemi ecologici” coinvolgendo i migliori esperti del tempo … ricordo soltanto per inciso che la cultura marxista discuteva in quegli anni il libro di Dario Paccino dal titolo L’imbroglio ecologico (Torino, 1972) che vedeva nell’ecologia una grande ideologia, nel senso marxiano, di cui si serve la classe dominante per nascondere le condizioni di vita e di lavoro del proletariato.

sergiocottaSergio CottaMa già nel 1968 Sergio Cotta, tra i più importanti filosofi del diritto del 900, aveva pubblicato l’acutissimo saggio La sfida tecnologica, opera straordinaria nella quale indagava con profondità teoretica i tratti della società tecnologica e delle sue tragiche conseguenze sulla natura che, di fronte all’aggressione umana si difende lasciandosi morire. Molti anni prima del Principio responsabilità di Hans Jonas che, come abbiamo ricordato, è giustamente considerato una specie di Bibbia dell’ambientalismo. 

Vorrei ricordare velocemente anche l’abruzzese Giuseppe Capograssi, probabilmente uno dei più importanti filosofi italiani del 900, giustamente considerato capograssiGiuseppe Capograssiil Socrate della filosofia cattolica del secolo passato, che scrive nel 1952 il saggio Agricoltura diritto e proprietà, nel quale disegna un modello direi ecocompatibile, di armonia nel rapporto uomo-natura, nel momento in cui afferma “l’umanità ha bisogno di vivere, l’umanità come ogni altra specie animale. E per vivere non ha altro patrimonio che la terra, questa terra su cui cammina, su cui poggia le sue case e le sue tombe, su cui poggia la sua storia” … la grande scoperta dell’uomo è che la terra vive, ha la sua vita, è piena di vite … una vita che è la vera ricchezza della vita umana … e l’agricoltura, concepita come “un guardare, un aspettare, un non turbare”, ha lo scopo di associare la vita della terra a tutte le vite connesse … “alla vita degli animali che invisibilmente nel profondo la elaborano e alla superficie la popolano, la fecondano, la distruggono; alla vita dell’universo, clima, venti, pianeti, costellazioni da cui dipende” e, ancor più profeticamente, “l’umanità contemporanea, risvegliata da terribili pericoli e da formidabili pressioni di fatti e bisogni, dinanzi a cui la forza delle singole comunità si rivelano sempre più insufficienti … va scoprendo che in sostanza la esigenza profonda della unione (delle vite) è proprio l’unione dell’umanità, del genere umano vivente sulla terra con la vita unitaria della terra, nel senso planetario della parola”. Sarebbe interessante ricordare, sempre di Capograssi, anche Il diritto dopo la catastrofe, saggio fondamentale del 1950 sul valore euristico e pedagogico della crisi, quarant’anni prima dell’euristica della paura jonasiana.

papagiovanniIIIl magistero di Giovanni Paolo II è stato molto significativo sul tema ambientale soprattutto perché la “preoccupazione ecologica” è considerata un segno positivo del nostro tempo per “la maggiore consapevolezza dei limiti delle risorse disponibili, per la necessità di rispettare l’integrità e i ritmi della natura e di tenere conto della programmazione dello sviluppo”, come si legge in una delle sue più importanti encicliche, la Sollicitudo rei socialis del 1987. Estremamente importanti sono anche la Centesimus annus del 1991, l’Evangelium vitae del 1995 e anche l’enciclica filosofica Fides et ratio del 1998. Ma sono innumerevoli i suoi interventi sul tema … ricordo solo per curiosità il decreto Inter sanctos del 1979 con cui San Francesco d’Assisi viene proclamato “celeste patrono dei cultori dell’ecologia”, e il Discorso alla Corte e alla Commissione europea dei diritti dell’uomo del 1988 in cui il Papa polacco dimostra grande consapevolezza della dimensione politica e giuridica della crisi ecologica nel momento in cui parla della necessità di un diritto ad un ambiente sano e sicuro (che rappresenta sul piano del diritto il tentativo di pensare ad una tutela giuridica dell‘ambiente superando il ristretto ambito del paesaggio che per molti anni è stato l’unico ancoraggio costituzionale dell’ambiente).

Impossibile in questa sede riprendere tutti gli argomenti toccati da Giovanni Paolo II; riassumo così a caso: la conquista e lo sfruttamento delle risorse sono diventati predominanti … il rischio è la minaccia della stessa capacità ospitale della natura … l’ambiente come “risorsa” rischia di minacciare l’ambiente “casa”…“l’uomo pensa di poter disporre arbitrariamente della terra assoggettandola senza riserve alla sua volontà, come se essa non avesse una propria forma e una destinazione anteriore datale da Dio, che l’uomo può, sì sviluppare, ma non deve tradire. Invece di svolgere il suo ruolo di collaboratore di Dio nella opera della creazione, l’uomo si sostituisce a Dio e finisce così col provocare la ribellione della natura, piuttosto tiranneggiata che governata da lui”, se l’azione umana non è guidata da un intendimento morale tutto si ritorce contro di lui per opprimerlo.

Ma nello stesso tempo, non possono essere accettate visione ecocentriche o biocentriche che si propongono “di eliminare la differenza ontologica e assiologica tra l’uomo e tutti gli altri esseri viventi, considerando la biosfera come unità biotica di valore indifferenziato. Si viene così ad eliminare la superiore responsabilità dell’uomo in favore di una considerazione egualitaristica della dignità degli esseri viventi”.

Naturalmente il tema è oggi più che mai al centro dell’attenzione nel momento in cui posizioni ecologistiche profonde si incontrano con i cantori del post-umano nelle sue diverse variazioni, iperumanisti, transumanisti, estropiani, che vedono nella ibridazione uomo-macchina non solo l’occasione per passare ad un nuovo stadio evolutivo, che superi i limiti della natura umana, ma anche una risposta anzi la risposta alla crisi ecologica. Come ha scritto uni dei teorici del pensiero transumanista Kurzweil, a seguito delle tre grandi rivoluzioni in atto, biotecnologica genetica e nanotecnologica, preceduti dalla rivoluzione informatica, l’uomo cederà il posto alla sua versione 2.0 che realizzerà l’estensione radicale della vita e l‘immortalità. E, fra l‘altro, per questo nuovo s/oggetto i problemi ecologici saranno un vago ricordo perché la tecnologia (che sarà ormai la nuova fede) non solo avrà risolto tutto ma la nuova entità (post)umana da essa prodotta, nella quale l’intelligenza artificiale supererà quella biologica, acquisterà la capacità di adattarsi a tutte le situazioni nutrendosi, per esempio, di rifiuti e sopportando tutte le radiazioni oggi nocive.

Nella Caritas in veritate di Papa Benedetto XVI del 2005 molti dei temi accennati vengono naturalmente puntualmente ripresi e sviluppati, con la notevole profondità teoretica da tutti riconosciuta a Razinger. Mi sembra molto pressante la consapevolezza circa la necessità di uscire (uso volutamente un’espressione cara a Latouche) “dall’immaginario della crescita”, decolonizzare l’immaginario della crescita, per la insostenibilità ecologica e sociale di un modello economico basato sull’assolutizzazione della crescita e del mercato. In altra occasione Benedetto XVI afferma: “è necessario che le società tecnologicamente avanzate siano disposte a favorire comportamenti caratterizzati dalla sobrietà, diminuendo il proprio consumo di energia e migliorando le condizioni in uso…" (Messaggio giornata mondiale della pace, 2010).

Riprenderò tra un po’ questo tema perché si ripropone con più forza nella Laudato sì ... 

La lettera enciclica Laudato sì.

Si tratta un documento, pubblicato da Papa Francesco nel 2015, estremamente complesso, sia dal punto di vista teologico, teoretico ed etico, che affronta, laudatosi450x200magari non sempre con il necessario approfondimento, tutti i punti in cui si articola la questione ecologica, come questione teoretica ed etica e quindi nella sua valenza di questione profondamente sociale.

Un autore come Edgar Morin l’ha definita non a caso provvidenziale, per la sua attenzione accorata alla casa comune, alla prospettiva globale, allo sguardo complesso, all’esigenza avvertita di trattare i rapporti tra le diverse parti, per aver mostrato “che l’ecologia riguarda le nostre vite, la nostra civiltà, i nostri modi di agire, le nostre riflessioni”.

Non è possibile analizzare in questa sede i singoli punti trattati dal pontefice, con tutte le implicazioni teoretiche e pratiche. Ogni singolo tema meriterebbe una trattazione separata e approfondita: il dialogo tra le culture e le religioni, il bene comune, l’acqua, il debito, l’aborto, la globalizzazione del paradigma tecnocratico, la crescita demografica, la biodiversità, la governance della scienza, il governo delle emergenze ecologiche, la necessità di adeguati strumenti giuridici e politici e il principio di sussidiarietà … tutti i temi essenziali sono presenti.

Difficile dire se siamo di fronte ad una nuova tappa di un percorso già avviato dal magistero dei suoi predecessori o se quella di Papa Francesco rappresenti una novità assoluta nella dottrina sociale. Sono tantissimi i richiami ai predecessori, come è consuetudine in una enciclica, ma sono anche tante le novità molte delle quali risentono della esperienza pastorale e teologica di Bergoglio nella chiesa latino-americana.

Mi soffermo brevemente su tre novità che mi sembrano centrali.

La prima riguarda il concetto più ricorrente, quello di ecologia integrale, che ha il suo presupposto teologico e le sue conseguenze sul piano etico nella “comunione con tutto il creato”, così come predicato dalla sua principale fonte di ispirazione San Francesco d’Assisi: solo “se ci sentiamo intimamente uniti a tutto ciò che esiste, la sobrietà e la cura scaturiranno in modo spontaneo” (p. 15). Nella prospettiva sempre agognata di uno “sviluppo sostenibile integrale”.

Siamo nel cuore della riflessione etico-ambientale e Papa Francesco mi sembra avanzi una proposta capace di andare al di là delle ormai logore classificazioni che hanno ingessato per molto tempo il dibattito etico-ambientale. Mi sembra che su questo versante la proposta di Papa Francesco rappresenti una mirabile sintesi di posizioni ambientaliste ed ecologiste, anche di alcune tesi più radicali, come quelle sulla centralità del concetto di ecosistema, sulla considerazione morale degli altri esseri viventi, sulla necessaria interconnessione tra i viventi … Certo, condannando gli esiti antiumani o postumani di certo ecologismo e affermando, invece, con forza il primato della dignità umana: “tutto è connesso – scrive Papa Francesco – ma non si può prescindere dalla umanità. Non ci sarà una nuova relazione con la natura senza un essere umano nuovo. Non c’è ecologia senza un’adeguata antropologia. Quando la persona umana viene considerata solo un essere in più tra gli altri, che deriva da un gioco del caso o da un determinismo fisico, si corre il rischio che si affievolisca nelle persone la coscienza della responsabilità” (par. 118).

Neutralizzando o depotenziando il contenuto eversivo di alcune tesi ecologiste mi sembra che tutto sommato la Laudato sì si ponga come nuova tappa di un cammino solo in parte avviato dai suoi predecessori.

La seconda considerazione sulle novità del documento tocca il punto forse più controverso che è quello che riguarda, come accennavo, il pensiero della caritas in veritatedecrescita. Se nella Caritas in veritate di Benedetto XVI erano presenti evidenti punti di contatto tra la dottrina sociale e il pensiero della decrescita, pur nella diversità di fondo dell’impostazione teorica, la questione si complica oltremodo nella Laudato sì perché non c’è solo l'affermazione sulla necessità di decolonizzare l’immaginario della crescita, come presupposto teoretico verso nuovi modelli di economia, ma c’è un passaggio in più che riporto integralmente: “in ogni modo, se in alcuni casi lo sviluppo sostenibile comporterà nuove modalità per crescere, in altri casi, di fronte alla crescita avida e irresponsabile che si è prodotta per molti decenni, occorre pensare pure a rallentare un po' il passo, a porre alcuni limiti ragionevoli e anche a ritornare indietro prima che sia tardi. Sappiamo che è insostenibile il comportamento di coloro che consumano e distruggono sempre più, mentre altri ancora non riescono a vivere in conformità alla propria dignità umana. Per questo è arrivata l’ora di accettare una certa decrescita in alcune parti del mondo procurando risorse perché si possa crescere in modo sano in altre” (par. 193).

E ancora, criticando chiaramente e fortemente il concetto di sviluppo sostenibile, “non basta conciliare, in una via di mezzo, la cura per la natura con la rendita finanziaria, o la conservazione dell’ambiente con il progresso. Su questo tema le vie di mezzo sono solo un piccolo ritardo nel disastro. … in questo squadro, il discorso della crescita sostenibile diventa spesso un diversivo e un mezzo di giustificazione che assorbe valori del discorso ecologista all’interno della logica della finanza e della tecnocrazia, e la responsabilità sociale e ambientale delle imprese si riduce per lo più a una serie di azioni di marketing e di immagine” (par. 194).

Occorre allora semplicemente, si fa per dire, ridefinire l’idea di progresso come da Paolo VI in poi la dottrina sociale si preoccupa di fare.

Ma si può ridefinire il progresso solo, ed ecco la mia terza e conclusiva considerazione sui motivi di novità del testo di Papa Francesco, partendo dalla necessità di una “rivoluzione culturale”, una rivoluzione di pensiero per uscire fuori dalla crisi, ad una azione che è in definitiva in primo luogo una azione morale di mobilitazione delle coscienze, come azione preliminare rispetto agli interventi successivi di natura economica, giuridica e politica (ricordo che anche questo è un punto centrale nell’approccio dell’ecologismo radicale).

La cultura ecologica afferma, infatti, Francesco “non si può ridurre a una serie di risposte urgenti e parziali ai problemi che si presentano”, ma “dovrebbe essere uno sguardo diverso, un pensiero, una politica, un programma educativo, uno stile di vita e una spiritualità che diano forma ad una resistenza di fronte all’avanzare del paradigma tecnocratico” (par. 111).

Mobilitazione delle coscienze, rivoluzione culturale, uomo nuovo, per attivare una resistenza di fronte al paradigma tecnocratico. È senza dubbio il passaggio più forte, più innovativo, ma nello stesso tempo più problematico e che non ha eguali in documenti della dottrina sociale.

Questo articolo riprende sinteticamente e senza l’apparato bibliografico la mia Relazione dal titolo L’ecologia integrale di Papa Francesco. Crisi ecologica e dottrina sociale della Chiesa al Forum Internazionale del Gran Sasso dello scorso anno, i cui atti sono in corso di stampa.

08-06-2020
Autore: Mario Sirimarco
Docente di Teoria generale del diritto - Università di Teramo
meridianoitalia.tv

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