Un’occasione per fare il punto sulle politiche di sostegno e tutela.

di Caterina Boca

Sono stati pubblicati di recente i dati relativi ai reati commessi nel nostro Paese durante il lock down dei mesi scorsi, in questo difficile momento che non solo l’Italia ma il mondo intero sta attraversando. Dati che hanno suscitato molto interesse e clamore perché se da un lato abbiamo registrato una riduzione significativa di varie fattispecie di reati, e gli omicidi sono diminuiti del 19%, l’unico reato per cui si è registrato un aumento del 5% è proprio il femminicidio. Con stupore e tanta amarezza, ci siamo resi conto di come quelle che per molti di noi, per tanti di noi, sono state misure necessarie per prevenire il contagio epidemiologico, per tante, troppe donne, si sono trasformate in un incubo, una ulteriore tortura che le ha costrette a rimanere in casa chiuse con genitori, mariti e compagni violenti ed aggressivi. Il reato di femminicidio si consuma prevalentemente tra le mura domestiche, eppure solo il 7% delle donne lo denuncia. Talvolta per paura, talvolta per vergogna, le donne si ritrovano sole ed impotenti, prive di difesa e di sostegno.

Caterina Boca2Con la legge 27 giugno 2013, n. 77 di ratifica della Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, l’Italia ha fatto suo quello che da più parti è considerato come il primo strumento internazionale per la protezione delle donne contro qualsiasi forma di violenza. Una Convezione di grande valore, dove la violenza contro le donne viene riconosciuta come una violazione dei diritti umani e come una forma di discriminazione contro le donne. Il mancato riconoscimento della parità tra uomini e donne, infatti, è strettamente connesso alla violenza che spesso molte di loro subiscono, e che si regge proprio sulla disuguaglianza di genere, alimentata da stereotipi sessisti che si manifestano quotidianamente, a casa, per strada, nei luoghi di lavoro, nei media. È così che si è costruita nel tempo quella cultura che oramai strutturalmente protegge, giustifica e tollera, dapprima i comportamenti ambigui e infine anche quelli aggressivi ed estremi contro le donne. Non è un caso quindi che troppi femminicidi vengano raccontati come gesti di estrema gelosia, o conseguenze del troppo amore, quando invece con i sentimenti e gli affetti non hanno proprio nulla a che fare.

Nel 2019 il Parlamento italiano ha approvato la legge 19 luglio 2019, n. 69, con l’obiettivo di inasprire la repressione penale della violenza domestica e di genere introducendo disposizioni di tutela delle vittime. Sono stati così introdotti nel codice penale quattro nuovi delitti: il delitto di deformazione dell'aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso (nuovo art. 583-quinquies c.p.);  il delitto di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti senza il consenso delle persone rappresentate (c.d. Revenge porn, inserito all'art. 612-ter c.p. dopo il delitto di stalking), anche per chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video, li diffonde a sua volta al fine di recare un danno alla persona; il delitto di costrizione o induzione al matrimonio (art. 558-bis c.p.) e il delitto di violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 387-bis).Sono state anche inasprite le pene per il delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572 c.p.), inserito nell'elenco dei delitti che consentono nei confronti degli indiziati l'applicazione di misure di prevenzione, come il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona da proteggere.

Eppure, tutto questo non basta.

Il lavoro svolto dai centri antiviolenza è encomiabile, ma ancora poco sostenuto e riconosciuto visto che solo il 39% dei centri ricevono fondi pubblici, che comunque sono insufficienti per assumere personale qualificato e rafforzare le azioni compiute, o che spesso vengono erogati con ritardi ingiustificati, tali da compromettere la loro preziosa attività. Occorre investire maggiormente in termini di risorse, favorendo l’allestimenti e garantendo soprattutto la continuità di altri centri antiviolenza e delle cd case rifugio, dove le vittime possono trovare sostegno e riparo, avviare percorsi di autonomia e vedersi riconosciute nei propri bisogni.

Non solo. Occorre implementare le attività di sensibilizzazione e le campagne informative sui temi dei diritti e della violenza di genere, diffondere le indicazioni sui servizi a cui rivolgersi nel caso si subiscano violenze o si diventi testimoni involontari. Tutti possono denunciare e contattare i numeri utili, e qui appare fondamentale il servizio del numero verde antiviolenza e stalking, il 1522, dal quale risponde personale preparato ed attento. Rispetto alle 17 mila del 2016, le chiamate nel 2019 sono state circa 26 mila, un dato già superato ampiamente nei primi 10 mesi del 2020. La violenza sembra essere più diffusa ma le donne dimostrano sempre di più di avere coraggio nel denunciarla. Le campagne informative recenti raffigurano donne con segni di violenza sul viso o sul corpo. Immagini emotivamente forti ma talvolta fuorvianti: non occorre aspettare di subire la violenza fisica per denunciarla. Lo si può, lo si deve fare prima, quando i segnali sono ugualmente evidenti.

Occorre che anche i media facciano la loro parte, riconoscendo come un fallimento sociale e comunicativo questa tendenza a rappresentare la donna in maniera ipersessualizzata, cambiando il loro modo di ritrarre le donne, ed infine bisogna avviare nelle scuole corsi di educazione all’affettività, perché se il cambiamento deve essere culturale, è necessario che parta nelle scuole e che coinvolga le giovane generazioni.

La data del 25 novembre come Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne non è casuale. È stata scelta per commemorare la morte delle tre sorelle Mirabal avvenuta nel 1960 nella Repubblica Dominicana durante la dittatura feroce di Trujillo. Ritenute rivoluzionarie, le tre donne furono torturate, violentate, massacrate e poi uccise. Un delitto atroce. In Italia nel 2020 sono state 65 le donne uccise per mano di un uomo, e la loro colpa molto spesso non è quella di essere rivoluzionarie, ma di volersi sentire libere, rispettate, emancipate e capaci di decidere per se stesse. Non dimentichiamocelo.

 

28-11-2020
Autore: Caterina Boca
Avvocato
meridianoitalia.tv

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