di Ranieri de Ferrante
Francesco ha dato grande enfasi alle popolazioni cattoliche di confine: che il prelato alla guida dei cattolici mongoli (poco più di 1000, mi sembra) sia cardinale e l’Arcivescovo di Milano – la più grande Diocesi al mondo - non lo sia è, nella sua assurdità numerica, un messaggio chiarissimo. Il futuro della Chiesa è nell’Asia, diceva il Papa. Ed è anche in Africa, continente con il più alto ritmo di conversioni e previsto rappresentare, ad orizzonte 2050, oltre il 40% dei cattolici mondiali (e probabilmente una % molto più ampia di quelli praticanti).
In termini di focalizzazione del Suo apostolato, Papa Francesco ha posto grande enfasi sulla preoccupazione per i meno abbienti e per le popolazioni della parte povera della Terra, ma anche su aperture verso il mondo LGBTQ+ , integrazione con altre religioni e maggior ruolo alle donne nella gestione della Chiesa.
Purtroppo il primo ed il secondo paragrafo possono andare d’accordo solo sotto una mano fortissima: è tipico dei cattolici “di confine” avere posizioni meno aperte che non gli europei su queste problematiche. Ad esempio i vescovi africani hanno rifiutato di adottare quanto previsto dalla Fiducia Supplicans, che includeva fra l’altro la benedizione delle coppie omosessuali. E per questo sono stati attaccati dalla parte più progressista della Chiesa.
Spero che la Chiesa voglia mantenere il timone ragionevolmente in linea con quanto ha fatto Francesco. Ed è difficile. Se aggiungiamo a questo le sfide della “politica”, con un mondo travagliato da guerre, in rapida trasformazione e gravato da una preoccupante crescita delle Autocrazie (dichiarate o meno), la mano sul timone deve essere fermissima, ed avere la possibilità di stabilire la rotta con una gestione abbastanza lunga.
Serve un Papa forte, giovane, diplomatico e aperto al mondo.