Un dialogo con Don Giulio Dellavite sulla vera fede come fiducia in Dio, il ruolo dei pontefici nel mondo contemporaneo e le attese del di Ilaria Solazzo

In un tempo in cui tutto sembra fluido e incerto, la parola “fede” rischia spesso di essere fraintesa. Per alcuni è un’eredità culturale, per altri un rifugio, per altri ancora un concetto astratto. Eppure, nella sua essenza più profonda, la fede cristiana non è un sistema, né una somma di regole o tradizioni: è fiducia. Fiducia radicale in un Dio che si è fatto vicino, che ha parlato attraverso il Vangelo e che continua a camminare accanto all’umanità.

Ma c’è un rischio sottile, che attraversa anche le migliori intenzioni: quello di sostituire la fede in Dio con una religione ritualistica se non addirittura superstiziosa, oppure con la venerazione delle istituzioni o delle tradizioni religiose, con il rischio di fare dei sacerdoti, perfino delle forme liturgiche, dei piccoli idoli. Di confondere il dito con la luna. Quando la religione smette di essere un cammino verso Dio e diventa fine a se stessa, si allontana dal cuore del messaggio evangelico.

È da questa consapevolezza che nasce il desiderio di rileggere i pontificati degli ultimi tre Papi — non per esaltarli come figure eccezionali in sé, ma per comprendere come ciascuno, a suo modo, abbia cercato di indicare l’unico centro della fede cristiana: Cristo.

Con Don Giulio, parroco attento, scrittore e voce sincera del clero di oggi, abbiamo voluto guardare al passato recente della Chiesa e al futuro che l’attende, con lo sguardo limpido di chi sa che ogni riforma, ogni gesto, ogni parola, trova senso solo se resta ancorata al Vangelo.

ILARIA: Buongiorno Don Giulio, la ringrazio per aver accettato. Prima di iniziare la registrazione vera e propria, volevo solo scambiare due parole con lei per capire insieme il taglio giusto da dare all’intervista.
DON GIULIO: Buongiorno a lei Ilaria, è un piacere. Mi dica pure.

ILARIA: L’idea è quella di proporre un momento di riflessione semplice ma profondo, accessibile anche a chi non è praticante. Vorremmo partire da una lettura dei tre ultimi papi – Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco – e poi chiederle uno sguardo personale sul futuro della Chiesa. Va bene per lei?
DON GIULIO: Sì, assolutamente. Sono figure che hanno segnato tempi molto diversi, ma ognuna con un'impronta forte. Ho avuto la grazia di lavorare in Santa Sede negli ultimi tra anni di Giovanni Paolo e per tutto il pontificato di Papa Benedetto. Papa Francesco ho avuto modo di incontrarlo da Cardinale quando veniva alla Congregazione per i Vescovi dove prestavo servizio.

ILARIA: Perfetto. Il pubblico a cui ci rivolgiamo è variegato, quindi le sue parole avranno sicuramente risonanza. Posso chiederle anche qualcosa di più personale, tipo un ricordo o un'impressione diretta che ha avuto, magari da sacerdote, durante i diversi pontificati?
DON GIULIO: Certamente, se può aiutare a rendere l’intervista più viva, sono ben contento di condividere qualcosa.

ILARIA: Ottimo. Ultima cosa... preferisce domande più preparate o possiamo lasciare anche un po’ di spazio alla spontaneità?
DON GIULIO: Un po’ di entrambe direi. Una traccia fa sempre comodo, ma se c’è apertura al dialogo, può nascere qualcosa di bello.

ILARIA: D'accordo, allora siamo pronti. Iniziamo tra poco con la prima domanda.

dongiulio

ILARIA: Buongiorno Don Giulio, grazie per aver accettato il nostro invito. Oggi vorremmo parlare con lei dell’eredità spirituale lasciata dagli ultimi tre pontefici e del futuro della Chiesa. Iniziamo da Giovanni Paolo II: che cosa ha rappresentato per il mondo a suo avviso?
DON GIULIO: Buongiorno Ilaria, grazie a voi. Giovanni Paolo II è stata una figura monumentale nella storia contemporanea. Ha avuto un ruolo fondamentale nel crollo del comunismo in Europa dell’Est, ma soprattutto ha saputo portare la fede ovunque, con carisma e umanità. Era il Papa pellegrino: ha viaggiato in ogni angolo del mondo, toccando milioni di cuori. I Kilometri da lui compiuti nei viaggi apostolici superano la distanza della terra dalla luna. Mai nessuno ha incontrato così tanta gente come lui. Il suo rapporto con i fedeli era quasi paterno, diretto, affettuoso. La sua presenza ispirava coraggio e speranza. Il suo motto iniziale “aprite, anzi spalancate, le porte a Cristo!” lui lo ha vissuto fino in fondo nel magistero della sofferenza. Credo che sia stata la sua ultima e più intensa enciclica.

ILARIA: Dopo di lui, Benedetto XVI. Un Papa molto diverso per stile e approccio. Qual è stato il suo contributo?
DON GIULIO: Sì, Benedetto XVI è stato un uomo di profonda teologia, meno mediatico, ma non per questo meno incisivo. Ha guidato la Chiesa in un periodo difficile, affrontando temi spinosi come lo scandalo degli abusi e la crisi della fede in Occidente. La grande energia prodotta da Giovanni Paolo II aveva bisogno di qualcuno che la incanalasse per usarla al meglio. Non ho mai incontrato nessuno di più dolce, umile, gentile, delicato di Papa Benedetto XVI. Papa Wojtyla aveva riempito le piazze, a lui è spettato il ministero di invitare dal sagrato all’interno della Chiesa. Il suo gesto più rivoluzionario è stata la rinuncia al papato: un atto di grande umiltà e lucidità. Era un pastore che amava il silenzio e la riflessione, ma il suo legame con i fedeli era profondo, soprattutto con chi cercava nella fede un fondamento intellettuale e spirituale solido.

ILARIA: Poi è arrivato Papa Francesco, il primo gesuita e il primo sudamericano. Che cambiamento ha portato?
DON GIULIO: Papa Francesco ha mostrato germogli, fiori e frutti inaspettati, ma sono convinti che questi non sarebbero stati possibili se non fossero innestati sul tronco del lungo pontificato di Giovanni Paolo II e sui rami delle idee di Benedetto XVI. Ha messo al centro della sua missione la misericordia, l’accoglienza, la Chiesa "ospedale da campo". Ha riportato l’attenzione sui poveri, sui migranti, sull’ambiente. Con lui il rapporto con i fedeli era diventato quasi fraterno: parlava un linguaggio semplice, diretto, a volte scomodo. Ha rotto molti schemi, e questo ha creato anche delle tensioni, ma ha risvegliato coscienze e riportato molti all’ascolto. La gente che dalle piazze era entrata in Chiesa - certamente una minoranza - andava poi condotta “in uscita” per incontrare gli altri che erano rimasti sulle strade del quotidiano.

ILARIA: E guardando al futuro… cosa si augura per il prossimo conclave?
DON GIULIO: Mi auguro che la Chiesa continui a camminare nel solco dell’ascolto, del dialogo e della coerenza evangelica. Il prossimo Pontefice dovrà affrontare sfide complesse: la secolarizzazione, la crisi vocazionale, le ferite interne… Ma soprattutto dovrà continuare a essere un punto di riferimento per un mondo in cerca di senso. Speriamo in un Papa capace di unire, di custodire la tradizione e di aprire nuovi orizzonti con coraggio e compassione. Un artigiano di pace. Un testimone del Vangelo, anche perché ricordiamoci i Cardinali scelgono il successore di San Pietro, cioè il custode dell’unità, l’amico di Gesù, la roccia della comunità e non solo il successore di Francesco o Benedetto o Giovanni Paolo.

ILARIA: Grazie Don Giulio, per le sue parole sincere e illuminate.
DON GIULIO: Grazie a te, e che il Signore continui a guidare la Sua Chiesa.

Ascoltando Don Giulio, emerge con chiarezza quanto il cammino della Chiesa negli ultimi decenni sia stato profondamente segnato da tre figure straordinarie, ciascuna portatrice di una visione unica e complementare. Giovanni Paolo II, con la forza della sua presenza, ha toccato il mondo; Benedetto XVI, con la profondità del suo pensiero, ha custodito la fede nella verità; Papa Francesco, con la sua umanità, ha ridato voce a chi era ai margini.

Tre modi diversi di essere pastori, tre modi diversi di entrare in relazione con i fedeli, ma un unico filo conduttore: il desiderio autentico di guidare il popolo di Dio nel tempo presente, con tutte le sue sfide e le sue speranze.

E oggi, mentre la Chiesa si prepara a voltare una nuova pagina con il prossimo conclave, resta viva la domanda su quale volto avrà il suo futuro. Ma se c’è una certezza che possiamo portarci a casa da questo dialogo, è che la Chiesa non è un’istituzione ferma nel tempo: è un corpo vivo, fatto di ascolto, cammino e, soprattutto, di fede condivisa. E sarà, ancora una volta, la capacità di dialogare col mondo e di restare fedeli al Vangelo a tracciare la via.

07-05-2025
Autore: Ilaria Solazzo
Giornalista
meridianoitalia.tv

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