di Gianni Lattanzio
Nel maggio 2025, il mondo si trova ancora una volta sull'orlo dell'abisso. Le guerre in Ucraina e in Medio Oriente continuano a mietere vittime e a generare nuove ondate di disperazione. I tentativi di mediazione internazionale sembrano arenarsi di fronte a richieste inconciliabili, sospetti reciproci e l'assenza di una vera volontà di compromesso. In questo scenario, la Santa Sede e il nuovo Pontefice, Leone XIV, emergono come uno degli ultimi veri attori capaci di proporre una via alternativa: la strada della pace che passa per il Vaticano.
Come ci ricorda il profeta Isaia: "Egli sarà giudice fra le genti e arbitro fra molti popoli. Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un'altra nazione, non impareranno più l'arte della guerra" (Is 2,4). Parole antiche che risuonano con urgenza rinnovata nel nostro tempo travagliato.
Le cronache di questi giorni, come testimoniano i reportage internazionali, dipingono un quadro cupo. I colloqui tra Russia e Ucraina a Istanbul si sono conclusi con un nulla di fatto, se non uno scambio di prigionieri. La tregua è rimasta un miraggio, schiacciata tra le richieste di Kiev per un cessate il fuoco incondizionato e le pretese di Mosca di una sostanziale resa territoriale.
Come ha osservato amaramente il filosofo Kant nel suo saggio "Per la pace perpetua", "la pace non è uno stato naturale, che può essere mantenuto senza alcuno sforzo, ma deve essere istituita". E oggi, questo sforzo sembra mancare nella volontà politica delle parti in conflitto.
Nel frattempo, in Medio Oriente, la situazione a Gaza e in Yemen si aggrava di giorno in giorno. I raid israeliani e le risposte dei gruppi armati moltiplicano le vittime civili, mentre la comunità internazionale appare impotente.
In questo clima di sfiducia e paralisi, la Santa Sede si propone ancora una volta come "coscienza del mondo". L'insediamento di Leone XIV ha rilanciato il ruolo del Vaticano come piattaforma di dialogo e mediazione. Il Papa, nel suo discorso ai diplomatici, ha ribadito che "la Chiesa parlerà sempre la verità e lavorerà per la giustizia", sottolineando che "la pace si costruisce insieme" e che "nessuno si salva da solo".
Come ricorda Sant'Agostino nel "De Civitate Dei": "La pace è la tranquillità dell'ordine". E l'ordine internazionale oggi appare profondamente turbato, bisognoso di una nuova architettura che ponga al centro la dignità umana e il bene comune.
Leone XIV ha offerto la disponibilità del Vaticano come sede per negoziati di pace, sia per il conflitto ucraino sia per quello mediorientale. Un gesto che va oltre la semplice diplomazia: è una chiamata alle coscienze, un invito a riscoprire la dimensione umana e spirituale della convivenza internazionale, ricordando le parole di Gesù nel Vangelo: "Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio" (Mt 5,9).
La presenza del presidente israeliano Herzog alla cerimonia di inizio pontificato è un segnale importante. Nel suo messaggio, Herzog ha ricordato come la Terra Santa sia la culla delle tre religioni monoteiste e ha espresso la volontà di rafforzare i legami con la Santa Sede. Ha riconosciuto il dolore sia degli israeliani sia dei palestinesi, indicando nel rilascio degli ostaggi la "chiave" per sbloccare la situazione.
"Per mettere fine a questa guerra è necessario comprendere il dolore", ha dichiarato Herzog. "E credo che, fino a qui, il dolore della mia gente per il 7 ottobre non sia stato davvero capito". Parole che richiamano l'insegnamento di San Paolo: "Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme" (1 Cor 12,26).
Il dialogo interreligioso, promosso da decenni dal Vaticano, torna dunque al centro della scena. Come insegnava Martin Buber, filosofo ebreo del dialogo: "All'inizio è la relazione". E questa relazione tra fedi diverse può diventare il fondamento di una nuova convivenza pacifica in Terra Santa.
Sul fronte ucraino, la situazione appare ancora più complessa. La distanza tra le parti è aumentata rispetto ai primi tentativi di mediazione del 2022. Le condizioni poste da Mosca sono considerate inaccettabili da Kiev e dai suoi alleati europei.
Eppure, anche qui, il Vaticano non rinuncia al suo ruolo: Leone XIV ha lanciato un nuovo appello per la pace, invitando a "sradicare le premesse di ogni conflitto" e condannando il riarmo e la corsa agli armamenti. Come affermava Papa Giovanni XXIII nella "Pacem in Terris": "La pace in terra, anelito profondo degli esseri umani di tutti i tempi, può venire instaurata e consolidata solo nel pieno rispetto dell'ordine stabilito da Dio".
La diplomazia vaticana, storicamente abile nel tessere relazioni sottili e nel mantenere aperti canali di dialogo anche nei momenti più bui, cerca di costruire "ponti" dove altri alzano muri, incarnando l'esortazione di San Francesco d'Assisi: "Signore, fa' di me uno strumento della tua pace".
Leone XIV ha introdotto nel lessico vaticano il concetto di "diplomazia dei valori", fondata su giustizia, verità e rispetto della dignità umana. In un mondo dove la realpolitik sembra aver preso il sopravvento, il Papa ricorda che senza verità non può esserci pace, e senza giustizia ogni trattativa è destinata a fallire.
"La verità vi farà liberi" (Gv 8,32), ricorda il Vangelo. E oggi, in un'epoca di post-verità e manipolazioni mediatiche, il richiamo alla verità dei fatti e alla giustizia delle cause diventa essenziale per ogni autentico processo di pace.
Questa visione si traduce in una critica netta alla corsa al riarmo ("basta strumenti di morte") e in una difesa dei principi fondamentali della convivenza: libertà religiosa, tutela della famiglia, accoglienza dei migranti. Come insegnava Tommaso d'Aquino: "La pace è opera della giustizia indirettamente, in quanto rimuove gli ostacoli; ma è opera direttamente dell'amore, che secondo la sua stessa ragione causa la pace".
La storia recente insegna che il Vaticano può giocare un ruolo decisivo nei processi di pace. Dalla mediazione tra Stati Uniti e Cuba all'impegno per la Siria, fino ai tentativi di dialogo in Sud Sudan, la Santa Sede ha spesso agito come "terza parte" credibile, capace di parlare a tutti senza essere percepita come parte in causa.
Come osservava il filosofo Jacques Maritain: "La pace è opera e frutto della saggezza e della giustizia". E la saggezza della diplomazia vaticana risiede proprio nella sua capacità di vedere oltre gli interessi immediati, di parlare al cuore delle persone e non solo alla ragion di Stato.
Oggi, con Leone XIV, questa vocazione si rinnova. Il Pontefice ha già avviato contatti con i leader mondiali – dal presidente americano Vance al presidente israeliano Herzog – e ha rilanciato la proposta di una "casa comune" per i negoziati. Il Vaticano, forte della sua neutralità e della sua autorità morale, può essere il luogo dove le parti si incontrano non per imporre condizioni, ma per ascoltarsi e cercare insieme una via d'uscita, incarnando l'esortazione del Salmo 85: "Misericordia e verità si incontreranno, giustizia e pace si baceranno".
"La pace si costruisce insieme", ha detto Leone XIV. In un tempo segnato da guerre infinite e da un crescente scetticismo verso ogni forma di mediazione, il richiamo del Papa non è solo un appello spirituale, ma una proposta concreta.
Come insegnava Dietrich Bonhoeffer: "La pace è il contrario della sicurezza. Cercare la sicurezza significa volersi proteggere. Cercare la pace significa abbandonarsi completamente". E oggi, questo abbandono delle proprie sicurezze ideologiche e strategiche appare come l'unica via per uscire dalla spirale di violenza.
La strada della pace passa per il Vaticano non perché la Santa Sede abbia soluzioni magiche, ma perché offre uno spazio di ascolto, di verità e di riconciliazione che altrove sembra mancare. Come ci ricorda il libro del profeta Michea: "Egli sarà arbitro tra molti popoli e giudice di nazioni potenti, anche lontane. Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un'altra nazione, non impareranno più l'arte della guerra" (Mi 4,3).
In un mondo che rischia di abituarsi al conflitto come stato permanente, la voce del Papa e della Chiesa resta un baluardo contro la rassegnazione. La pace non è un'utopia, ma una scelta che richiede coraggio, visione e – soprattutto – la capacità di mettersi nei panni dell'altro. È questa la vera sfida che attende il Vaticano e l'intera comunità internazionale nei mesi a venire, ricordando sempre l'esortazione di Cristo: "Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi" (Gv 14,27).