di Emanuele Mariani
Dopo 40 anni, la nostra esistenza ed il vivere bene sono sempre temi attuali, come se il tempo si fosse fermato e, nel breve piccolo spazio immaginario, una canzone li abbia descritti ed immortalati ancora oggi.
E’ il senso de “La vita è adesso”, canzone da cui prende spunto il titolo completo dell’album, oggi con una nuova versione (“La vita è adesso, il sogno è sempre”) dell’eterno artista romano, Claudio Baglioni, il decimo pubblicato l’8 giugno 1985.
Fu un grande successo di pubblico, con oltre un milione e mezzo di copie vendute all’epoca, ma, nel tempo, quattro milioni e mezzo di copie fisiche, l’album più acquistato di sempre nella storia della musica italiana.
Rimase per 27 settimane consecutive primo in classifica e circa ottanta settimane nella top 50.
L’attesa, per quei tempi, tra gli appassionati e fan (me compreso, allora ero un adolescente di 15 anni), era stata spasmodica; poi, sui negozi di dischi del tempo, a giugno 1985, furono affissi dei cartelli con su scritto: finalmente è uscito il nuovo disco di Baglioni.
Il concerto finale del 20 settembre 1985, quale conclusione del tour di presentazione dell’album, allo Stadio Flaminio di Roma, che all’epoca era ancora utilizzato per grandi manifestazioni e si spera possa presto ritornare agli antichi splendori, fu il primo concerto di musica pop della storia ad essere trasmesso in diretta televisiva Rai, alla presenza di 95.000 spettatori allo stadio e 12 milioni di persone davanti alla tv.
Di fatto, un inno alla vita ed agli anni ’80, dove per tutte le generazioni, sembrava non avere mai fine il benessere e la felicità di ciascuno, anche se il mondo era attraversato da tanti contrasti, ma anche dalla “distensione” tra le potenze mondiali che avrebbe portato nel 1989, al crollo del Muro di Berlino ed a quella che sembrava essere una grande ventata di pacificazione globale senza fine.
Insomma un ritrovasi insieme “nel vecchio albergo della terra”, come recita il testo della canzone di Baglioni che ha deciso di attualizzare dando vita, con la discografica Sony Music Italia, non ad una riedizione, una rimasterizzazione, una ‘lucidata’ come si dice in gergo (meglio, un aggiustamento di qualche sfumatura), ma ad un vero nuovo progetto editoriale, discografico e live, dal titolo appunto “La vita è adesso, il sogno è sempre”.
L’artista è tornato in studio di registrazione per suonare e cantare di nuovo le canzoni di quel memorabile album, come si registravano i dischi tantissimi anni fa.
Solo che qui lo si è fatto tutti insieme, in uno stesso studio contemporaneamente, pensando ad un album zero.
Un’illusione, è chiaro, che non sarà mai un zero, perché le canzoni hanno una data precisa.
Baglioni ha detto che, in questo caso, “la fortuna è stata poter rimodulare un disco che aveva dentro già molti contrasti, era molto variegato. È stato un po’ il modo di allontanarsi dalle cose per poterle vedere meglio, perché da lontano io ho la sensazione che tutto si possa apprezzare più nitidamente, anche la musica”.
Infatti, legato al progetto ci sarà anche il Grand Tour “La vita è adesso” nel 2026, attraverso 40 tappe in tutta Italia. Da fine giugno fino a settembre. Ci sarà un racconto, un diario di bordo, concerto dopo concerto. Un vero e proprio viaggio culturale. Anteprima nazionale il 27 settembre a Lampedusa, un grande ritorno per l’artista dopo essere stato protagonista con la sua rassegna “O Scià”.
L'album tratta di una tipica giornata ordinaria iniziando dal risveglio mattutino e concludendo con la notte, i testi delle canzoni vennero scritti da Baglioni in una terrazza di un bar in centro a Roma, infatti inizialmente l'album si doveva chiamare Un bar sulla città, poi optò per il gioco di parole La vita è adesso. Il sogno è sempre.
L’album è composto da 10 brani per 52 minuti. Nei testi, come nella musica, è un lavoro sicuramente ragionato ma rivestito di semplicità e leggerezza nei ritratti scritti da Baglioni che descrivono l’umanità più varia. Vi sono anche accenni calcistici in “Tutto il calcio minuto per minuto”, quasi un omaggio alla celebre trasmissione radiofonica.
Quello che colpisce, a 40 anni di distanza, sono le parole ancora oggi attuali di tutti i brani, in «L’amico e domani»: «…Domani allungheremo i passi, ognuno dietro alla fortuna e lanceremo sguardi e sassi a coglier la luna , noi domani avremmo un’altra faccia e una città che aspetta fuori e stringeremo fra le braccia avanzi di amori…». Tutte sensazioni che possiamo provare ancora oggi.
Baglioni, con questo album e con tutta la sua storia di artista, si inserisce nel solco dei più grandi poeti musicali del nostro tempo, al pari della tradizione della scuola genovese dei Tenco, De Andrè, Lauzi, del friulano Paoli e dell’istriano Endrigo, di quella milanese (Mina, Milva, Ornella Vanoni, Celentano, Gaber, Ruggeri, solo per citare alcune ed alcuni) piemontese di Paolo Conte ed Umberto Tozzi e napoletana (da Caruso ad Aurelio Fierro, a Pino Daniele, Massimo Ranieri, Peppino di Capri), toscana (Nannini e Masini, Baldi), emiliana-romagnola (da Morandi, Guccini, Dalla, oggi Laura Pausini, tra le migliori interpreti) ed, in generale, italiana con tutti i grandi maestri, musicisti, cantanti, compositori, autori ed arrangiatori (uno su tutti, Domenico Modugno).
Insomma, la scuola romana di Baglioni (da Claudio Villa a Rascel, da Battisti a Califano, De Gregori e Venditti, alla Mannoia, Gabriella Ferri, Renato Zero, fino a Giorgia, solo per citarne alcuni, con artisti romani d’elezione, quali, ad esempio, Patty Bravo, Cocciante, Gaetano, Ron e Raf), merita, come tutti i grandi artisti appena indicati, la narrazione nei libri di storia e non solo musicali e di questo gli Italiani ne debbono essere orgogliosi e grati.
Tornando a “La vita è adesso”, a poche decine di metri più in là dello Zodiaco, dal giardino dell’Hotel Cavalieri Hilton, Toni Thorimbert scatta una foto di una veduta panoramica di Roma che diventerà uno degli interni di copertina più famosi.
“Un bar sulla città era il primo titolo che avevo pensato” – ha spiegato recentemente l’artista. L’avevo immaginato e scritto seduto a un tavolino all’aperto dello Zodiaco, accanto all’Osservatorio di Monte Mario. Ogni giorno per due mesi e mezzo con un gelato al cioccolato e doppia panna una bottiglia d’acqua naturale e un buon caffè. Davanti c’era tutta la città da guardare. Una veduta aerea sul mondo sottostante e un milione di storie, teste, volti, cuori, voci. Intorno qualche coppia di giovani abbracciati si giurava eterno amore di fronte al panorama. M’ero tagliato i capelli e non mi riconosceva nessuno. Salivo su appena dopopranzo con un quaderno, un pennarello e un evidenziatore a buttar giù parole nuove per le canzoni di un album da finire in tempo in un tempo che era già finito. Restavo finché il sole non scendeva dietro”.
Un luogo quello di Monte Mario, amato da sempre da Baglioni, non ha caso chiamato Monte in quanto il luogo più alto di Roma, diversamente dai celebri 7 Colli, su cui è stata fondata la città Eterna.
Con i suoi 139 metri d'altezza è il rilievo più imponente della Capitale e per tale ragione è considerato, assieme al Gianicolo ed al Pincio, uno dei punti più panoramici della città, in particolare dal belvedere di Parco Mellini, presso lo storico locale "Lo Zodiaco", con vista a sud e a est sui quartieri limitrofi. Includendo le propaggini nord-occidentali attorno alla stazione di Roma Monte Mario, si raggiunge tuttavia la quota di 141 metri, sopra il livello del mare, in via Achille Mauri, 4.
Un simbolo di monumentale grandezza, Monte Mario che ha da sempre, ispirato poeti ed artisti, quindi non solo l’immenso cantautore romano.
Basti pensare al celebre pino di Monte Mario, che si notava passando proprio nel parco del Belvedere, sotto lo Zodiaco; un tronco molto molto vecchio, una specie di fossile, un albero sulla sommità del colle, a pochi passi da villa Mellini che fu notato e amato da una serie di artisti, letterati e grandi uomini.
Nel Settecento, un comune pino romano, caratteristico del paesaggio della città, cresce sull’altura di Monte Mario, nei pressi di Villa Mellini. L’albero cresce vigoroso, indisturbato. Lo si può ammirare di lontano, poiché alla ragguardevole altezza somma i più di cento metri del colle in quel punto e il suo profilo si staglia contro il cielo azzurrino di Roma divenendo col tempo parte inconfondibile del panorama.
Nel 1821, fra i turisti europei insigni è Sir George Beaumont (1753-1827), mecenate, collezionista e pittore dilettante. Beaumont è reduce da una gita nei pressi di Bolsena dove, con suo orrore, ha notato una foresta secolare tagliata e bruciata. Lo spettacolo lascia in lui una profonda ferita. Poco tempo dopo sir George è a Roma; qui vede il nostro pino “magnificamente situato in splendido isolamento … sulla cima di Monte Mario”: ne rimane incantato. Per far sì che nessuno ne intacchi la bellezza, permettendo anche alle generazioni future di goderne la vista, Beaumont offre una forte somma per il suo acquisto. La compravendita si risolve felicemente: il pino di Monte Mario può ora vivere tranquillo.
Nel 1834, lo scrittore Hans Christian Andersen è a Roma e grazie a Beaumont, anche Andersen può godere della vista del pino e lo ritrae in uno schizzo veloce.
Nel 1837, il poeta William Wordsworth, amico del Beaumont, arriva a Roma e, pochi giorni dopo, scrive alla famiglia in Inghilterra: “Eravamo appena da due ore a Roma quando salimmo sul Pincio, presso il nostro albergo: il sole era appena tramontato ma il cielo a ponente era risplendente. Una gran parte della Roma moderna si stendeva dinanzi a noi e San Pietro si elevava sul lato opposto; e per amore del caro Sir George Beaumont dirò che a non troppa distanza dalla cupola della basilica, sulla linea dell’orizzonte in fiamme si vedeva un pino dalla larga chioma, che sembrava una nuvoletta nel cielo, con un sottile stelo che lo univa alla sua terra nativa … quello stesso pino che io ammiravo tanto era stato acquistato dal caro Amico, affinché potesse sopravvivere finché la Natura glielo avesse permesso …”. In onore dell’albero e dell’Amico, Wordsworth scrive una poesia.
Nel 1854, Gli scrittori inglesi Elizabeth Barrett e Robert Browning accennano alla maestà del pino, come pure, nel 1873, lo scrittore americano Henry James ne rimane colpito: “La cupola larga e lontana, sorretta da un’unica colonna, bianca abbastanza da sembrare di marmo, pare dimorare nelle più vertiginose profondità dell’azzurro. I suoi pallidi rami grigio-celesti e l’argenteo stelo si fondono in meravigliosa armonia con l’aereo ambiente”.
Nel 1887, Costantino Maes nel “Cracas” annota: “Esso è il più protervo e longevo pino, di cui si adornino i nostri colli, unico rispettato fin’ora dalle ire celesti …. emulo della mistica quercia del Tasso sul Gianicolo …”.
Il pino, nel 1909, è ancora annotato come esistente in una guida di Roma.
Nel 1975-76, Luciana Frapiselli, storica devota del territorio di Monte Mario, viene contattata, dall’Inghilterra, da uno studioso inglese, Frederick A. Whiting che, dopo averle narrato la storia del nostro pino, ne chiede una foto o una stampa. La Frapiselli si mette in marcia, coadiuvata da amici e parenti. Del pino, tuttavia, non trova traccia. Si ricorda, però, d’un periodico, “Monte Mario”.
Scrive, quindi, alla sua redazione che, prontamente e gentilmente, la rimanda a due articoli di Livio Jannattoni su “La Strenna dei Romanisti” (1958 e 1961) in cui è tratteggiata la storia dell’albero e la stessa Frapiselli ritrova due stampe (una del 1872, e un’altra del 1841) che invia a Whiting.
Ma oggi, direte voi, il pino che fine ha fatto? Sappiamo anche questo. In un numero arretrato di “Monte Mario” (20 dicembre 1970), Umberto Nistri, aviatore e cartografo, scrive: “Dalla città [l’altura di Monte Mario] presentava il pittoresco panorama … di un altissimo e imponente pino secolare, che venne abbattuto [da una tempesta] in quegli anni e di cui io, per puro caso, assistetti alla caduta dalla finestra della mia casa, attratto dal fragore del tronco che si schiantava alla base e il cui diametro superava il metro di parecchio. Vedo ancora la chioma a forma di immenso ombrello oscillare nel vento e cadere rovinosamente al suolo. Sotto quel pino aveva sostato in riposo e in meditazione Liszt, durante il suo soggiorno romano, ospite dei frati della vicina Chiesa del Rosario”.
Il pino, quindi, non c’è più, abbattuto da una tempesta nei primi decenni del Novecento. La sua vita di 150 o 200 anni non è stata, però, invano. Presso la sua ombra hanno riposato in migliaia; grandi artisti ne hanno celebrato la bellezza tramandando, al contempo, la bellezza di Roma. Esso si trasformò lentamente in un custode del territorio così come i Lari degli antichi Romani, statuine degli antenati che avevano il compito di proteggere la casa e i familiari che vi abitavano.
Ma ora, tutti questi luoghi rimangono per sempre immortali anche per le canzoni di Baglioni che hanno fatto innamorare generazioni di persone.
Claudio Baglioni detiene numerosi record di spettatori per i suoi concerti in Italia.
In particolare, il concerto-evento "Da me a te", svoltorsi il 6 giugno 1998, allo Stadio Olimpico di Roma, luogo principalmente indicato e ricordato per le tante manifestazioni sportive, ha segnato un record con 100.000 spettatori per ciascuna delle due serate, la più alta affluenza di sempre in uno stadio, più di quanto non sia mai riuscito a fare una finale di Champions League.
Ciò è stato possibile anche grazie alla concezione del palco al centro - invenzione dello stesso architetto Baglioni, introdotta per la prima volta nel concerto del 1991 - che ha permesso di riempire l'intero stadio con tutti i suoi posti a sedere, piazzando dunque il palco al centro della scena.
Anche il tour "Alé-Oó" del 1982, ha superato il milione di spettatori complessivi, con una presenza record di 180.000 persone, a Piazza di Siena, a Roma.
Infine, Baglioni è ricordato per un evento di apertura giubilare, quando cantò a Piazza San Pietro, dopo l’inaugurazione del Giubileo del 2000, la notte di San Silvestro del 1999, nel passaggio di secolo, replicato poi dal programma, condotto da Eleonora Daniele, “Note del Natale – Speciale Giubileo”, l’evento che unisce musica, cultura e tradizione, andato in onda il 24 dicembre scorso, su Rai1 in prima serata, dopo la Messa serale della Vigilia e il rito di inaugurazione del Giubileo 2025, presieduto da Papa Francesco. Anche in questa occasione, Baglioni ha cantato con grande maestria e successo.
Ma il capodanno giubilare del 1999-2000, per Baglioni rimarrà per sempre quello della serenata a Wojtyla.
“Nel 1999-2000, ho fatto un concerto in piazza San Pietro con 250mila, forse 300mila persone, perché era invasa tutta via della Conciliazione ed è stato l'unico concerto, diciamo, non di musica ortodossa che sia stato fatto lì", ricordò anni fa in una celebre intervista.
"La cosa curiosa - proseguì il cantautore, che il 16 maggio ha compiuto 74 anni - fu che ad un certo punto si affacciò dal balcone Papa Wojtyla e fece un saluto, quasi una presentazione; a me non era mai capitato di essere addirittura presentato da un Papa, disse con l'eco 'E qua ci sono anche questi musicisti', e noi stavamo sotto. Quando ho ricominciato fu strano perché fu come fare, e credo non possa più riaccadere, una serenata ad un Papa".