di Ranieri de Ferrante
Lo scontro fra Israele ed Iran sta ormai diventando una guerra. Fra l’altro la prima combattuta al di sopra di altri Stati non coinvolti. Come tale è un unicum nella storia. La capacità di Israele di combattere questa guerra così avanzata, e soprattutto di colpire con tanta precisione dimostra, ancora una volta, le capacità del Mossad. Ma dove era, il Mossad, il 7 ottobre? I conti non tornano, e l’unica variabile che possa far quadrare l’equazione sono Nethanyau, la sua visione ed il modo “sporco” in cui sembra disposto ad agire. Per salvare Israele o sé stesso?
La prima guerra fra stati non confinanti, ed al di sopra di altri Stati è in corso: Israele ed Iran si scambiano missili sulla testa di Giordania ed Iraq. Per quanto mi risulta è’ il primo caso, nella storia del mondo, di una guerra simile, ma questo è un altro argomento. L’argomento fondamentale è che in questo momento Israele sta bombardando Iran, Gaza, Siria, Libano e Yemen. Credo che siano tutti, ma non ne sono certo.
Per me un Ebreo è una persona come un’altra. In Italia non so neanche – ed è giusto sia così – se le persone che incontro siano ebree o meno. Se non altro qualche cosa l’abbiamo imparata dal passato, dalle Leggi razziali e dal buon senso.
In America già è diverso: gli ebrei sono connotati, come lo sono gli Italo Americani, gli Afro Americani, gli Irlandesi con la loro spiccata fede cattolica, i Cinesi eccetera. Io non ho mai fatto alcuna differenza nenache quando vivevo negli USA. Piuttosto io, che pure sono un Gentile, sono stato oggetto di antisemitismo: quando ero consulente con la McKinsey, il capo di un’Azienda della General Electric mi chiese “cosa facesse un bravo ragazzo ebreo in McKinsey”. Gli risposi che non erano fatti suoi, che non ero ebreo ma che per me era un elemento del tutto senza significato e lo denunciai all’ufficio legale della GE.
Uno dei miei film favoriti è Exodus, con Paul Newman. Considero la creazione dello Stato Ebraico (voluto, ricordo, dal mondo attraverso una risoluzione ONU a maggioranza ampiamente qualificata) come una meravigliosa avventura di commovente successo. Posso dire di essere un tifoso dello Stato di Israele, al punto che – quando nel 1974 fu attaccato dall’Egitto nella guerra del Kippur – avevo intenzione di andare a dare una mano, ovviamente non al fronte. Mio padre mi fece capire che, prima di arrivarci, la guerra sarebbe finita.
E ho sempre capito le ragioni di Israele e la sua necessità di difendersi fino a due anni fa, “perdonando” tutto. Ho condiviso il tentativo di pace di Rabin come l’invasione del Libano di Sharon. D’altra parte, se il tuo vicino ha scritto sulla porta che il suo obiettivo nella vita è ucciderti ed ogni tanto ti butta una bomba o un serpente velenoso in giardino, hai il diritto di difenderti.
È dall’ottobre del ’23 che – però – alcune mie certezze sono meno sicure. Non dubito del diritto di Israele di difendersi, e (anche se mi addolorano profondamente) capisco la ragione delle sofferenze imposte al popolo di Gaza. Non dimentichiamo che gli Stati Uniti e l’Inghilterra hanno bombardato Dresda, colpendo obiettivi puramente civili e uccidendo, in una notte, fra 135,000 e 200,000 tedeschi. Oppure, quando incontravano un villaggio tedesco, prima lo radevano al suolo, per eliminare le eventuali difese, poi entravano. Ripeto, obiettivi puramente civili.
Un tempo si diceva “la guerra è guerra” o “non si fa una frittata senza rompere le uova”. Il fatto che oggi ci scandalizziamo e soffriamo per le vittime civili dimostra che siamo cresciuti come esseri umani, ma la guerra non è poi cambiata molto.
No, le mie certezze sono meno sicure perché vedo che Israele è in grado di uccidere, in maniera precisa e con ridottissime (meno male) perdite collaterali, i vertici dei suoi avversari. Lo ha fatto con i capi Hezbollah in Libano, con quelli di Hamas a Gaza, con i vertici scientifici e militari in Iran.
Uccidere così è quasi civile, nei limiti in cui civile può essere la guerra. Non dimentichiamo che la parola civile ha due significati: il primo descrive un comportamento corretto, educato, al passo con i tempi e rispettoso, il secondo distingue la popolazione dai militari. Con questo non voglio essere insultante verso chi porta la divisa (io provengo da una famiglia con le stellette, che sono state portate con fierezza da mio padre e da mio suocero) ma solo sottolineare che la guerra non può essere, per sua natura, educata e cortese.
Per uccidere con tanta precisione ci vuole tecnologia per il controllo dei missili. Io di missili ne capisco, avendo guidato un’azienda che li costruiva, e costruire un missile che si infila in una finestra è ormai ampiamente fattibile, ma richiede grande competenza e struttura scientifica ed industriale. Prova ne è che la risposta iraniana mira “più o meno” a dei bersagli, ma in realtà colpisce quartieri residenziali.
Serve anche un elevatissimo livello di competenza ed addestramento, per guidare il missile.
Ma se non si sa in quale finestra far infilare il missile, ed a che ora (cioè quando il bersaglio c’è) tutto questo è inutile. E questa informazione viene dal Mossad, così come il Mossad aveva organizzato le basi di droni che, partendo dall’interno dell’Iran, hanno azzerato la difesa aerea di Teheran all’inizio dell’attacco.
La domanda, allora, è “dove era questo efficientissimo Mossad il 7 ottobre del 2023, quando alcune migliaia di guerriglieri di Hamas sono usciti da Gaza per sterminare i coloni israeliani?”. E’ credibile che una operazione così complessa (di livello divisionale, si direbbe in gergo militare) sia stata organizzata a poche centinaia di metri dal confine Gaza/Israele senza che il Mossad ne abbia avuto una minima intuizione?
E come mai il tanto efficiente esercito Israeliano ha impiegato ore per arrivare nella zona attaccata, mentre i guerriglieri facevano strazio dei coloni inermi e pochi soldati delle difese locali tentavano invano di resistere?
Gaza, mi dice Google Maps, è a 78 km a sud ovest di Gerusalemme, 71 a sud di Tel Aviv ed ad una trentina da Beer Sheva, Capitale del Distretto Meridionale di Israele. Per andare da Roma a Frosinone ci si mette di più!
La mia risposta alla prima domanda è, ormai, che Netanyahu sapeva, così come Roosevelt sapeva dell’attacco a Pearl Harbour nel ‘41, e non disse niente perché voleva una scusa per entrare in guerra con il Giappone, guerra che lui riteneva necessaria, ma che un’America isolazionista non voleva.
La mia risposta alla seconda è che la reazione è stata lenta per fare in modo che gli effetti dell’attacco fossero tali da scandalizzare l’opinione mondiale e dare un forte vantaggio morale ad Israele. Roosevelt non informò, o almeno non lo fece con la dovuta energia, i vertici militari delle Hawaii del rischio di attacco giapponese forse per le medesime ragioni (ma rimane il fatto che le portaerei vennero fatte uscire e si salvarono, così che la ferita agli USA fu tale da infiammare l’opinione pubblica, ma non tale da risultare mortale per la capacità americana di combattere nel Pacifico).
Durante il sequestro Moro, i Carabinieri bussarono alla porta dell’appartamento di via Gradoli in cui era tenuto prigioniero il Presidente della Democrazia Cristiana. Nessuno aprì, e loro passarono oltre.
Con tutto il rispetto per i Carabinieri, credo si abbia diritto di aspettarsi dal Mossad un comportamento più incisivo: ed i fatti del 7 ottobre non quadrano.
Si ha anche ragione di aspettarsi da Netanyahu e sodali un atteggiamento cinico, politico nel peggiore dei significati, ed irrispettoso della vita di cittadini israeliani e palestinesi, e aggiungendo questo all’equazione i conti tornano.