di Ranieri de Ferrante

Il 30% degli italiani è funzionalmente analfabeta. Pasolini ha mandato in tilt i nostri maturandi. La nostra Nazione non è la sola: molti stanno peggio. In America i romanzi di Jane Austen sono considerati una lettura complessa per adulti da affrontare con precauzione. Una delle cause è che ormai portiamo ragionamento, memoria e comunicazione non nel cranio ma in tasca, nel telefonino. Su tutto questo piomba l’Intelligenza Artificiale. E’ un rischio per il mercato del Lavoro nel breve, ne convengo, ma è anche l’unica Intelligenza che, nel mondo, ha una seria capacità di sopravvivenza.

Una delle tracce date all’Esame di Maturità era su Pasolini. Gli studenti hanno osservato che l’argomento non era stato coperto nel corso del’anno. La prima domanda che mi sono fatto è stata “ma come è possibile che il Ministero sia così distaccato dai programmi realmente svolti,” poi però mi sono detto che per comprendere e commentare un brano non occorre aver “studiato” l’autore, ma solo attivare il pensiero ed essere in contatto con il Mondo. Questo dimostra che sono vecchio, ahimè.

Poi la parte istintiva del mio cervello, quella guidata da a percezioni e sensazioni, mi ha portato a quando venni a sapere della morte del regista. Ero a New York, alla Columbia University e la notizia mi arrivò in una delle lettere che – ogni giorno – Patrizia, la mia allora fidanzata, oggi moglie, mi scriveva per aggiornarmi su come stavano le cose “a casa”.

Non posso dire che quella mattina la notizia mi sconvolse: da una parte si avvicinavano gli esami del primo quadrimestre, e per mantenere la mia Borsa di Studio dovevo ottenere votazioni molto alte (avevo quindi altre preoccupazioni per la testa)… dall’altra non ho mai particolarmente amato Pasolini: troppo cupo, troppo assoluto, troppo critico della realtà in cui io stavo crescendo e soprattutto troppo legato al passato. Oggi, cinquanta anni dopo, forse questo ultimo elemento mi sembrerebbe un fatto positivo.

Mentre il lato istintivo percepiva, il razionale rifletteva: ognuno ha il suo compito. E la riflessione era: se io fossi un insegnante, e dovessi scegliere se “spiegare” Eco o Pasolini, oppure Fellini o Pasolini, chi sceglierei? La risposta è stata Eco e Fellini. Pasolini mai. Non perché Pasolini non mi piace, ma perché con Fellini si parla di cinema, con Eco di cultura, filosofia e storia. Al massimo, con il Pendolo di Foucault bisogna fare un saltino (breve) nella matematica di Fibonacci (è nelle prime 50 pagine, quelle che tutti abbiamo letto).

Parlare di Pasolini vorrebbe dire esplorare disagio sociale e violenza. Affrontare  omosessualità, omofobia e prostituzione. Descrivere un comunismo che oggi non c’è più, e spiegare come ne sia derivato il PD di Elly Schlein. Tutto questo a degli studenti che hanno perso la nozione della transizione da fascismo a libertà.

Servirebbe grande equilibrio per parlare di queste cose senza essere di parte, ed una ancora più grande capacità di guardare a 360° ed integrare fattori diversi ed a volte conflittuali. Bisognerebbe essere veramente bravi, ed io qualche dubbio sulla mia capacità l’avrei.

I nostri insegnanti attuali – salvo forse qualche rara eccezione – credo non siano ancora meno preparati di me per fare questo. Anche i nostri, cinquanta anni fa, avrebbero evitato un argomento così scomodo: se all’ultimo anno di liceo si arrivava a Svevo e Pirandello era molto. Un po' di Ungaretti, se ti andava bene, ed un sacco di cavalline storne, di cipressi che andavano a Bolgheri e di pastori vaganti per l’Asia. Studiavamo già i flussi migratori.

Quello che operava a nostro vantaggio era che i nostri insegnanti cercavano almeno di darci degli strumenti di comprensione, che poi noi integravamo con gli input della famiglia, degli amici, dei giornali, del Mondo.

A questo punto l’intero cervello si è messo in funzione, partendo da quanto mia moglie Patrizia mi ha raccontato qualche giorno fa: l’editore dei romanzi di Jane Austen in America ha inserito un’introduzione che informa il lettore (adulto) che si tratta di romanzi lunghi e difficili, da leggere pigliandosi il giusto tempo.

Patrizia leggeva Jane Austen a 12 anni, e Guerra e Pace a 13 senza precauzioni o preoccupazioni. Io leggevo Hemingway. Rilessi diverse volte un racconto di Fiesta, ma non perché non li capissi, ma perché a quell’età gli ormoni vanno a mille. Eravamo espressione della nostra generazione, anche se un po' fuori dalla media (in casa nostra oggi ci sono 4,000 libri, e siamo passati a Kindle per ragioni di spazio …). D’altra parte, da ragazzo, ero fuori dalla media anche in altre cose: ad esempio non sono mai riuscito a salire sulla pertica (l’emisfero “intimo” ogni tanto ficca il naso …), ed avrei dato volentieri qualche ora di lettura per riuscirci, anche perché avevo notato una forte correlazione fra arrivare in cima alla pertica e “rimorchiare” alle festine che facevamo il sabato …

E’ un avvitamento, una spirale che è ormai avviata e non so come si possa fermare, e la scuola non è certo il solo colpevole. Si legge meno, si capisce meno di quanto si legge, c’è meno interesse a leggere, si legge ancora meno, si capisce ancora meno, c’è ancora meno interesse. L’editore di Jane Austen - con la sua prefazione - lo certifica. Gli esperti parlano di analfabetismo funzionale, e secondo le ricerche più recenti, in Italia saremmo al 30%. L’anno prossimo saranno di più, e sempre di più fino a valori tali che chi riuscirà a scrivere e leggere più di 140 caratteri entrerà di diritto nelle tanto vituperate “èlites”.

D’altra parte abbiamo una serie di esempi ormai consolidati di processi analoghi: noi attuali vecchi, da ragazzi, ricordavamo decine di numeri di telefono. Oggi ricordo solo il mio e quello di mia moglie. Non ricordo nemmeno il numero del mio Socio con il quale parlo al telefono diverse volte al giorno. E non è questione di età: la rubrica è sul telefonino, e basta ricordare il nome. Sul telefonino abbiamo anche il block notes per prendere appunti (brevi …) e la macchina fotografica (un’esperienza non esiste se non viene fotografata e condivisa su Internet). La memoria non la portiamo più in testa ma in tasca.

Si potrebbe obiettare che in passato si è passati dalla tradizione orale alla scrittura, dalla scrittura alla stampa, e poi sono venuti i registratori, affidandoci sempre meno alla memoria: sarebbe un’evoluzione più che una rivoluzione. Ma un quadrimotore che perde un motore vola con tre, poi con due, poi con uno, ma ad un certo punto precipita!

Ed ancora: un tempo si facevano calcoli anche complessi a mente. Chi più che meno, ma tutti sapevamo farli. Oggi la maggior parte delle persone, anche giovani ingegneri, tira fuori il telefonino (e relativa calcolatrice) per fare conti semplici. Saper “fare di conto” a mente diventerà – come il leggere – evidenza inconfutabile di appartenenza alle èlites. E naturalmente sarà motivo per essere guardati con sospetto.

Quasi come usare il congiuntivo e saper usare le incidentali e la consecutio temporum…

Ed infine, un tempo era normale vedere ragazzi con Paese Sera, Unità o – più discretamente - il Secolo d’Italia in mano. Quei giornali, una volta letti, servivano poi (uso molto più interessante) ad oscurare i finestrini delle macchine e darci una scomoda alcova (a proposito … non ricordo macchine con il Secolo d’Italia sui finestrini: non scopavano?). Oggi la poca informazione che arriva (ai giovani?) arriva attraverso i Social. In teoria questa potrebbe essere più variegata, ma gli algoritmi che aggiustano il feed e gli amici con cui chattiamo restringono il flusso a quanto è in linea con ciò che già credi e sai, restringono il cono quanto più che scegliere un giornale di parte, e più subdolamente, perché almeno il giornale di partito si dichiara tale. Inoltre si tratta di una informazione  poco approfondita e spesso inquinata da fake news.

Le teorie complottistiche, l’avversione ai vaccini eccetera ne sono il risultato.

Leggere, scrivere, fare di conto, ricordare, informarsi ed analizzare: sono gli elementi portanti del pensare. Le basi su cui si fonda l’intelligenza. La ragione per cui l’essere umano si merita i pollici opponibili.

Io sono cresciuto professionalmente nell’innovazione: ne mangio da 50 anni ed oltre. Credo nel progresso e non ne parlerò mai male. Di conseguenza non parlo contro l’Intelligenza Artificiale. E’ però obiettivamente vero, che la rivoluzione portata dall’A.I. è diversa da quelle del vapore e dell’informatica, che hanno alleggerito gli esseri umani la prima dai lavori più pesanti e la seconda da molta routine, permettendo loro di concentrarsi sugli aspetti più “elevati”. Molti cambiamenti portati dall’A.I., invece, riservano alle macchine le parti più nobili del processo, relegando gli umani a quelle più banali (vedi Amazon). I giornali sono pieni di preoccupazioni su come questo impatterà sul mercato del lavoro, con ingegneri, medici, perfino scrittori rimpiazzati da processi digitali.

E tutto questo, nel breve, può non essere un bene.

A lungo termine, però, lo vedo come una cosa estremamente positiva, alla luce delle tendenze mostrate dagli esseri umani nel leggere, scrivere, ricordare e fare di conto. L’MIT ha messo a confronto due gruppi, cui è stato chiesto di scrivere dei testi brevi, uno usando solo il proprio cervello, l’altro ChatGPT, e ne è stata misurata l’attività cerebrale . Il gruppo ChatGPT la aveva più bassa per il 55%. Non basta: dopo aver scritto il testo, l’83% non ricordava cosa avesse scritto. Per mettere la ciliegina sulla torta ... a parti invertite, il gruppo ChatGPT ha mostrato attività cerebrale ridotta anche quando chiamato a pensare con il proprio cervello …

Alla lunga … un’Intelligenza Artificiale potrebbe essere l’unico modo per mantenere qualche forma di Intelligenza nel nostro Mondo.

05-07-2025
Autore: Ranieri de Ferrante
Ranieri de Ferrante è un Fulbright Fellow, ed attualmente si occupa di Ambiente. Nel passato ha operato nella Farmaceutica, Consulenza (McKnsey), Informatica, Energia e Difesa, coprendo posizioni come Presidente, ABB, Central Eastern Europe e Co – CEO, Alenia Marconi Systems.
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