di Gianni Lattanzio
Un anniversario vivo
Ottant’anni dopo la sua nascita, la FAO non è un monumento da venerare ma una piattaforma viva che convoca istituzioni, comunità scientifiche, società civile e imprese a un’alleanza concreta contro la fame, proprio mentre il mondo attraversa crisi interconnesse che nessun Paese può governare da solo. La ricorrenza coincide con la Giornata mondiale dell’alimentazione a Roma e diventa una lente per guardare il futuro: non un rito, ma un mandato operativo che chiede continuità, misurazione dei risultati e responsabilità condivisa, in coerenza con lo spirito originario dell’Organizzazione.
Le parole che orientano
Nel cuore della celebrazione risuonano parole nette e necessarie: papa Leone XIV ha denunciato l’uso della fame come arma di guerra, un fallimento collettivo che infrange l’etica minima della convivenza e mostra le derive di conflitti sempre più disumanizzati. Sergio Mattarella ha richiamato il valore del multilateralismo come architrave di un ordine internazionale capace di proteggere i più vulnerabili, ricordando che la tecnologia e la conoscenza non bastano se vengono isolate dal dovere di cooperare oltre i confini nazionali.
La misura della fame
Le cifre restituiscono la dimensione morale e politica della sfida: secondo dati richiamati nell’ecosistema FAO, oltre 673 milioni di persone vivono in condizioni di fame cronica, un’ingiustizia che grava su generazioni e territori e che non si cancella con interventi episodici. Stime recenti indicano che circa 720 milioni di persone hanno sperimentato la fame nel 2024, pari a circa l’8,2% della popolazione mondiale, mentre 2,33 miliardi hanno affrontato insicurezza alimentare moderata o grave, confermando un divario che si concentra in aree fragili ma ricade sulla stabilità globale. Il quadro del rapporto SOFI 2025 parla di un mondo a due velocità, con arretramenti in Africa e Asia occidentale, segno che gli shock geopolitici e climatici si sommano a fragilità strutturali dei sistemi agroalimentari.
Teologia della cura
L’appello di Leone XIV non è un’aggiunta devozionale ma una teologia della cura radicata nella dignità umana, che rifiuta la strumentalizzazione della fame e chiede di ricucire la frattura tra mezzi tecnici e fini etici, perché nessuna sicurezza alimentare è autentica se non è anche giustizia e pace. Nel definire l’uso deliberato della fame come crimine, il Papa traduce una verità morale in impegno pubblico: proteggere i civili, aprire corridoi umanitari, rimuovere blocchi all’accesso al cibo, e costruire filiere locali resilienti sono azioni di giustizia prima ancora che di efficienza.
Filosofia e dignità
La fame non ferisce soltanto il corpo, ma umilia la libertà e diminuisce le capacità fondamentali della persona, negando l’autonomia alimentare, l’educazione, la salute e la partecipazione, e interrompendo quella “vita in comune” che rende le comunità politiche più di un semplice contratto di sicurezza. Una filosofia del cibo, dunque, è filosofia della dignità: il nutrimento adeguato come condizione per esercitare i diritti, la convivialità come pratica di cittadinanza, la cura del suolo e dell’acqua come etica della casa comune che impedisce di ridurre l’economia a calcolo senza volto.
Diritto e responsabilità
La stigmatizzazione della fame come arma di guerra richiama principi di diritto internazionale umanitario e obblighi positivi degli Stati nel garantire accesso al cibo, protezione dei civili e facilitazione degli aiuti, mostrando che la sicurezza alimentare è anche uno spazio giuridico dove i diritti diventano esigibili e le omissioni, colpe. In tempi di crisi prolungate, la cooperazione multilaterale offre cornici normative e standard condivisi che aiutano a prevenire misure arbitrarie, a migliorare la trasparenza dei mercati e a coordinare risposte che evitino il panico e la volatilità distruttiva.
Politologia del multilateralismo
Il multilateralismo non è diplomazia ornamentale ma tecnologia istituzionale che produce beni pubblici: dati comparabili, standard di sicurezza alimentare, meccanismi di allerta e piattaforme di coordinamento che riducono i costi degli shock e accrescono la fiducia tra attori con interessi divergenti. La politica internazionale dei sistemi agroalimentari richiede regia, perché gli incentivi nazionali spesso spingono alla frammentazione, mentre gli esiti desiderabili—stabilità dei prezzi, qualità nutrizionale, sostenibilità ambientale, inclusione rurale—sono interdipendenti e si raggiungono solo con strumenti condivisi e valutazioni trasparenti.
Roma, Italia, responsabilità
Roma è più di una sede: è il crocevia dove la memoria dell’Istituto internazionale di agricoltura si intreccia con l’orizzonte della FAO e delle agenzie sorelle, chiamando l’Italia a essere ponte tra Mediterraneo, Africa e Americhe con politiche coerenti e partnership orientate ai risultati. L’inaugurazione del FAO MuNe, museo e rete per alimentazione e agricoltura, simboleggia la continuità tra conoscenza, cultura e azione, trasformando l’impegno educativo in leva civica per una cittadinanza alimentare consapevole e partecipata.
Economie, investimenti, comunità
Le statistiche rivelano la scala del compito ma non sostituiscono la traiettoria degli investimenti: finestre di finanza mista, programmi integrati di nutrizione, acqua e infrastrutture locali, sostegno mirato a donne e giovani rurali, e catene del freddo efficienti possono ribaltare la geografia della vulnerabilità se collegati a piani nazionali e regionali realistici. In questo orizzonte, iniziative che mobilitano risorse e progetti multipaese possono accelerare la trasformazione, con ricadute previste su produttività sostenibile, redditi rurali e accesso a diete sane, a condizione che trasparenza e monitoraggio restino centrali.
Politiche pubbliche e cultura del cibo
Una politica alimentare moderna non separa produzione e salute: promuove diete nutrienti, riduce sprechi, investe in suoli vivi e acque ben gestite, facilita l’innovazione digitale inclusiva e allinea gli incentivi verso pratiche rigenerative che migliorano resilienza e qualità. La cultura del cibo, coltivata attraverso educazione, musei, cucine locali e filiere corte, diventa infrastruttura civica, perché rende visibili le connessioni tra scelta individuale e bene comune, tra territorio e pianeta.
Mattarella e Leone XIV, un’unica grammatica civile
Nel richiamo del Presidente Mattarella al senso del multilateralismo c’è la consapevolezza che le democrazie si misurano sulla protezione degli ultimi e sulla capacità di cooperare quando la tentazione del ripiegamento promette facili illusioni e produce danni duraturi. Nella denuncia profetica di Leone XIV, che definisce criminale l’uso della fame come arma, c’è la forza di una coscienza che pretende di rimettere al centro la persona e che chiede alla politica di scegliere il pane contro il ricatto, il diritto contro la paura.
Che cosa significa agire ora
Agire significa tenere insieme umanitario e sviluppo, aprire varchi dove la fame è assedio, finanziare scuole e mense che acquistano dai produttori locali, sostenere donne e giovani come motori di resilienza, e fare della trasparenza dei dati la prima infrastruttura pubblica. Agire significa anche costruire fiducia: tra Stati che condividono scorte e informazioni sui mercati, tra città e campagne che ripensano approvvigionamenti e diete, tra generazioni che imparano nel fare, come nel percorso educativo del MuNe, a unire conoscenza, bellezza e responsabilità.
Conclusione
Gli 80 anni della FAO dicono che la fame non è destino, ma esito di scelte, e che scelte diverse sono possibili se si accetta la grammatica della cooperazione, l’umiltà dei dati e il coraggio delle riforme. Se è vero, come ammonisce Leone XIV, che usare la fame come arma è un crimine e, come ricorda Mattarella, che senza multilateralismo arretra la civiltà, allora questa ricorrenza è una chiamata a fare delle nostre istituzioni il luogo in cui indignazione morale e decisione politica diventano pane, diritti e pace.
