di Paolo Balduzzi

Nonostante la maggior parte di noi trovi probabilmente più difficile capire la matematica della politica, quello che è successo negli ultimi giorni avrà messo in crisi questa credenza. La matematica è chiara e semplice da fare: due volte il governo ha chiesto la fiducia al Senato, due volte l’ha ottenuta. La prima volta su un decreto, la seconda volta su una risoluzione.

Eppure, dopo entrambe queste votazioni il Presidente del consiglio si è recato al Quirinale per rassegnare le dimissioni. E se già questo mette in difficoltà la logica di un normale cittadino, figuriamoci se proviamo a spiegare le conseguenze economiche di quanto è successo. Il tentativo va comunque fatto, perché i prossimi mesi saranno cruciali e dunque, a conti fatti, meglio avere il prima possibile un nuovo governo con pieni poteri che agonizzare con quello uscente.

Perché è il governo con pieni poteri quello che può assumersi la responsabilità di compiere le scelte più rilevanti per il futuro del paese. Scelte politiche, certo: ma anche economiche. Sbagliato quindi votare in autunno? No, non c’è mai nulla di sbagliato nelle elezioni, che siano in autunno o in primavera; al limite, renderanno solo la vita un po’ più difficile al paese: come se pandemia, guerra in ucraina, inflazione, crisi energetica, crisi climatica non fossero abbastanza. Del resto, il 26 settembre dell’anno scorso si è votato in Germania e, dopo le elezioni, un nuovo governo non è nato prima di dicembre. Ciò non ha certo messo in ginocchio il paese. Ma il sospetto che in Italia le cose siano sempre un po’ più complicate che in Germania, dal prendere un tram in orario all’affrontare, appunto, nuove elezioni, probabilmente ci spaventa un po’. Quali sono quindi le decisioni economiche più importanti che andranno prese nei prossimi mesi? Non necessariamente in ordine di importanza, il pensiero va subito a questi tre appuntamenti: la legge di bilancio, con annessi e connessi (il Documento di economia e finanza e il Documento programmatico); l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), la delega fiscale. Cominciamo da quest’ultima. Abbiamo avuto più volte la possibilità di esprimere forte perplessità sul fatto che questa legislatura arrivasse a un risultato. Ora questa perplessità è diventata certezza. Per l’ennesima volta, le promesse di trovare un sistema fiscale più giusto, di rendere l’imposta sui redditi meno punitiva per il ceto medio, di bilanciare imposte su consumi, redditi e patrimoni è caduta nel vuoto. E fa quasi sorridere, se uno riesce a mantenere il buonumore, ricordare i toni della precedente campagna elettorale o le pagine del “Contratto con gli italiani”, che inaugurò il primo dei tre governi di questa legislatura. Anche ora che reggere all’impatto dei prezzi in crescita diventa sempre più difficile, i lavoratori non avranno alcun tipo di aiuto, se non la solita mancetta. E nemmeno per tutti. Niente cuneo fiscale ridotto, niente aliquote rivoluzionate. Ma siamo sicuri che, in preparazione della XIX legislatura, sentiremo ancora parecchie promesse di riforma, come nel più classico dei deja-vu. Capitolo secondo: Il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Ogni sei mesi il Pnrr prevede una scadenza da rispettare; ad ogni scadenza rispettata è collegata l’erogazione di un nuovo finanziamento. Il passaggio di consegna da un governo all’altro rende ovviamente un po’ più difficile mantenere questo impegno, soprattutto in caso di forte discontinuità tra la linea politica e organizzativa del vecchio esecutivo e quella del nuovo. Vale tuttavia la pena di ricordare che, benché il regolamento del Pnrr sia un lungo elenco di impegni, requisiti, condizioni, obiettivi, date da rispettare, le decisioni in Europa, specialmente su questi aspetti, sono sempre squisitamente politiche. Vale per il Pnrr, vale anche per bilancio dello Stato. La cui iniziativa legislativa, secondo la Costituzione, spetta appunto al governo: può un governo dimissionario e uscente impegnare la legislatura che seguirà e il nuovo governo per i tre anni di competenza della legge di bilancio? Non sembra opportuno. Aggiungiamoci la difficoltà dei lavori parlamentari: la sessione di bilancio inizia a metà ottobre e termina alla fine dell’anno. In condizioni normali, non ci sono mai i tempi per una approvazione senza il ricorso alla fiducia. Impossibile quindi che se ne occupi il governo uscente. Ma nel nuovo parlamento si devono costituire i gruppi parlamentari, le commissioni, le giunte; per il nuovo governo servono consultazioni e un voto di fiducia. Che ci sia il tempo di approvare il tutto, incassando anche l’ok della commissione europea a fine novembre sembra davvero una missione impossibile. In assenza della legge di bilancio, la Costituzione prevede l’esercizio provvisorio fino a un massimo di quattro mesi. Significa che a gennaio lo stato non potrà spendere più di un dodicesimo di quanto speso nell’anno precedente. Eventualità che negli Stati uniti, per prendere un esempio eclatante, non capita così raramente. Non una tragedia, quindi: ma l’ennesima complicazione che rischiamo di dover affrontare. Quali altre conseguenze? L’elenco potrebbe essere ancora lungo: prima o poi, magari proprio questo autunno, ci sarà da contrattare un nuovo Patto di stabilità in sede europea; se la guerra non finirà, bisognerà continuare a viaggiare per il mondo a cercare nuovi fornitori di materie prime energetiche. E ancora: in un clima di incertezza, c’è da scommettere che indebitarsi (per lo stato, ma anche per i cittadini) sarà più costoso (lo spread salirà, per gli amanti del linguaggio tecnico) o che i risparmi saranno un po’ più a rischio, perlomeno quelli investiti in titoli quotati in Borsa. E così via. Ma a tutto questo, casomai, avremmo dovuto pensarci prima. Ormai la strada è segnata e, questo punto, bisogna rendere la transizione la più veloce possibile. Peggio di così, la legislatura non poteva certo terminare. Come nascerà la prossima? I classici, che ricordiamo per la loro saggezza, dicevano che “al peggio non c’è mai fine”. Anche se non siamo scaramantici, forse è il caso di incrociare le dita.

21-07-2022
Autore: Paolo Balduzzi
Docente di Economia pubblica all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
meridianoitalia.tv

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