di Ranieri de Ferrante
L’incontro Meloni/Trump è stato una vittoria in termini di immagine, verso l’esterno e verso l’interno, ma i vantaggi politici rischiano di avere un prezzo - economico e strategico – forse troppo elevato. L’Italia giocherà in modo leale il suo ruolo nelle U.E. ma spero lo faccia anche con astuzia, usando la U.E. per contenere l’impatto delle promesse fatte. E la U.E. deve rafforzare l’Occidente, su basi economicamente convenienti, paritarie, rispettose dei nostri valori, ma anche bilanciare gli inaffidabili USA con un solido legame con Cina ed Asia, creando vera indipendenza strategica ed economica. Altrimenti è preferibile una guerra dei Dazi.
Il giorno dopo il viaggio del Presidente del Consiglio negli USA la TV sembrava un bar il lunedì mattina, quando ognuno vede la partita del giorno precedente in maniera diversa. A volte verrebbe voglia di chiedersi se hanno visto la stessa partita … tutti allenatori da bar … quindi anche a me è venuta voglia di condividere un cappuccino.
1 – Il valore politico dell’incontro
Non credo ci siano dubbi che Meloni abbia conseguito importanti vantaggi politici per sé e per l’Italia:
- si è ben posizionata all’interno dell’Unione Europea, dove rischiava invece di restare isolata;
- ha acquisito credibilità sullo scacchiere internazionale, come punto di contatto fra U.E ed USA;
- ha rafforzato la sua posizione di leadership all’interno della coalizione di governo;
- si è ingraziata, ancora una volta, Trump, pigliandone addirittura in prestito slogan e linguaggio.
Politicamente, l’unico dubbio è se – oggi – Meloni sia la donna di Trump nella U.E. o la donna della U.E. che riesce a parlare con Trump. Mi si può obiettare che in realtà è una questione di semantica, che un ponte ha due imboccature, e può essere percorso in due direzioni. Che però non sia una questione di semantica lo dimostra lo status di Orban, che è indubbiamente l’uomo di Putin nella U.E. ma non viceversa.
La differenza fra testa di ponte e quinta colonna diventa evidente solo con i fatti. Io voglio personalmente sperare che il nostro Presidente del Consiglio abbia la capacità diplomatica e l’intelligenza politica per evitare di diventare l’Orban di Trump. Nei prossimi mesi avrà ampia opportunità di dimostrarlo.
Detto questo, la sostanza dell’incontro - al di là di sorrisi, complimenti e di una ovvia condivisione di fede politica - è aver ottenuto dagli USA un riconoscimento ed un impegno di contatto diretto con l’Unione Europea, promettendo in cambio aumento della spesa in Difesa, acquisto di GPL dagli USA, occhio benevolo verso le multinazionali come Google e Meta ed una cooperazione per quanto riguarda Spazio e Telecom. Promesse, queste, che Meloni ha fatto a nome dell’Italia, ma che fanno riferimento ad argomenti che non possono non essere affrontati in ottica europea.
2 - Il costo/rischio dei Dazi
Facciamo due conti, prendendo a riferimento l’Italia.
A rischio ci sono 65 - 70 miliardi di merci (meno del 10% del nostro export mondiale) di cui una buona parte legato all’automotive - per il quale l’USA rappresenta il principale mercato, con oltre il 27% del totale export - che già paga un dazio del 25%, più il 25% per la componentistica.
Naturalmente non tutte le merci sono uguali dal momento che un onere daziario colpisce – a parità di incidenza percentuale - in maniera diversa varie categorie di prodotto. Vediamolo attraverso due estremi:
A - un bene che abbia una sua forte connotazione specifica, che fa sì che il consumatore lo chieda “per nome” e che al consumatore finale arriva attraverso una costosa catena di distribuzione nel Paese che impone il dazio soffre poco: la qualità del prodotto porta i consumatori ad accettare un piccolo aumento di prezzi. E dico piccolo perché il dazio non è imposto sul prezzo finale, ma su quello “al confine”, quindi al netto degli oneri, molto spesso prevalenti, della catena di distribuzione. Pensiamo ad esempio ad una Ferrari da 300,000 Euro. Probabilmente il valore di esportazione è 150,000 Euro, ed il prezzo complessivo è fatto da questo costo, le spese di gestione della Ferrari USA (ad esempio pubblicità) ed i margini dei Concessionari. Il 25% di dazio si applica solo al valore alla dogana, e quindi pesa 37,500 Euro, pari al 12,5% sul prezzo finale. I miei conti non devono essere sbagliati di molto, perchè il listino Ferrari è stato aumentato del 10%.
Questo aumento viene tranquillamente accettato dal consumatore per avere il prodotto che vuole. Lo stesso vale per i freni Brembo, le borse Gucci, il Brunello di Montalcino, la Poltrona Frau, il Parmigiano o il prosciutto di Parma. Smetteremmo, forse, di comprarlo in Italia se il prezzo passasse da 3.80 – prezzo al mio Carrefour … meno da TODIS … – a 4.20 Euro/etto? Non credo, anche se io trovo ci siano prosciutti altrettanto buoni a meno di 3 Euro … e che la mortadella sia più saporita …
In questi casi l’effetto del Dazio sul volume venduto è quindi praticamente zero.
B - un bene, invece, che sia una pura Commodity, cioè un prodotto che non ha caratteristiche particolari (l’alluminio è alluminio … e la concorrenza si esprime in maniera quasi esclusiva col prezzo) e che sia venduto direttamente dal produttore all’utente finale (e quindi non abbia una pesante catena di distribuzione che funga da ammortizzatore) rischia di essere fortemente colpito da un aumento di Dazi, rischiando addirittura di perdere completamente il mercato.
L’Export italiano negli USA è trainato da macchinari ed apparecchiature, mezzi di trasporto (auto, in buona parte di alta gamma), prodotti farmaceutici, prodotti alimentari, moda ed accessori. Tutti settori che mi sembrano più vicini alla prima fattispecie che non alla seconda. Lo stesso vale per l’Europa, che esporta circa 600 miliardi l’anno negli USA, anche se questa ha una minor componente di beni di lusso.
Per cercare di quantificare il tutto, faccio riferimento all’Italia.
Possiamo ipotizzare che un dazio generale del 20% provochi una riduzione dei volumi esportati – extra auto - intorno al 10%, cioè meno di 6 miliardi di fatturato. Le fonti ufficiali stimano l’impatto nello 0,2% del PIL, valore più o meno analogo, ed è un numero obiettivamente non enorme che può essere recuperato su altri mercati. Certo, è un po' come la storia della famiglia che mangia un pollo e quella che digiuna. In media mangiano mezzo pollo a famiglia, ma non vorrei cenare con la seconda …
Certamente qualche Azienda potrebbe non sopravvivere allo shock di Dazi del 20%, ma la politica economica non può che basarsi sui grandi numeri.
3 – Il costo delle Promesse
Non cercherò di quantificare il costo economico delle Promesse fatte a Trump. Non ho i dati per farlo.
Mi basterà sottolineare che il gas USA ha un costo (comprensivo di materiale, trasporto e rigassificazione) più alto di quello da altre fonti. Meloni ha parlato d portare l’importazione di GNL per l’intera Europa da 50 a 350 miliardi. Non solo questo aumento di acquisti – da solo – riporterebbe la Bilancia Commerciale in parità, ma se il gas verrà acquistato in quantità superiori a quanto strettamente necessario, e quindi rinunciando a fonti meno costose, l’onere sarà rilevante.
Ancora più rilevante potrebbe essere il gettito – cui si rinuncerebbe – derivante da una moratoria di almeno 4 anni nell’applicare un Minimum Tax sull’attività delle Big Tech.
Complessivamente, credo che il potenziale costo, puramente in termini economici, delle promesse fatte sia superiore – o, nella migliore delle ipotesi pari - al rischio rappresentato dai Dazi.
Dal punto di vista strategico, invece, il costo è potenzialmente elevatissimo. Infatti:
A - acquisti massicci a breve di materiale militare dagli USA comprometterebbe lo sviluppo della Industria della Difesa: ogni aumento dell’investimento in Difesa – in questa fase - deve essere possibilmente dedicato non a comprare materiale, ma a sviluppare competenze, integrate e coordinate a livello europeo (fa eccezione il supporto all’Ukraina).
B - un aumento importante degli acquisti di combustibili fossili – e per giunta a prezzi fuori mercato – ha un impatto negativo sulla politica di sviluppo delle Fonti alternative e rinnovabili. L’European Green Deal ha i suoi eccessi (vedi forzatura sull’elettrificazione delle auto ed il suo impatto sull’industria) ma ne va mantenuto lo spirito di fondo e soprattutto le energie rinnovabili devono essere considerate (come la Difesa, d’altra parte) settori industriali da supportare e sviluppare;
C - un atteggiamento morbido verso le Big Tech è profondamente sbagliato su basi (1) etiche (perché non dovrebbero pagare tasse, o pagarne meno di altri settori?), (2) economiche (non dimentichiamo che gli USA, per i servizi, vantano una Bilancia Commerciale già molto positiva verso l’Europa) e (3) politiche e sociali, dal momento che i veicoli forniti – e non adeguatamente controllati - da Google, Meta ed X sono utilizzati dai troll di USA e Russia per colpire dall’interno il nostro modo di vivere;
D – una cooperazione con gli USA per Spazio e Telecom comporterebbe un forte rischio di mantenimento della sudditanza europea in questi settori. Una cooperazione può convenire, ma solo se fatta a vantaggio dell’Europa, cioè per acquisire competenze che aiutino la crescita dell’ESA. L’ombra di Musk e delle sue amicizie incombe su questo campo e, francamente, non penso sia vitale per l’Europa andare su Marte …
Non dimentichiamo infine, che il tempo lavora contro di noi: ogni ritardo nello sviluppo di questi programmi strategici non può essere recuperato, e rallenta la marcia dell’Europa verso l’indipendenza strategica che gli ultimi mesi hanno evidenziato come indispensabile.
E mentre l’Europa perderebbe tempo e leveraggio, l’arma dei Dazi rimarrebbe, con la stessa forza, nelle mani di una controparte che non si distingue per onestà ed affidabilità. Che succederebbe se Trump, fra 1 anno, ritornasse alla carica minacciando Dazi se non accettiamo i prodotti alimentari USA (proposta ovviamente inaccettabile, come ha fortemente chiarito il Giappone qualche giorno fa)? Ci troveremmo di nuovo alla casella di partenza, ma avendo perso 1 anno.
4 – Il ruolo della Unione Europea
L’incontro fra Meloni e Trump ha dato dei dividendi positivi alla prima in termini politici. Come italiani ne dobbiamo essere lieti, e chi “non ci vuole stare” favorisce le priorità del proprio Partito rispetto alla obiettività.
Quanto promesso in cambio ha però un costo - complessivo - che io giudico ampiamente superiore a quanto si otterrebbe da un’area a dazi zero.
E sottolineo la parola “promesso”. A differenza dei Dividendi politici - già incassati - questi costi sono infatti in un ipotetico futuro. E mi auguro il nostro Governo li voglia giocare in questi termini.
Sarà dirimente, a mio giudizio, l’atteggiamento dell’Unione Europea, e come l’Italia si posizionerà al suo interno. L’Italia dovrebbe naturalmente giocare il suo ruolo all’interno dell’Europa in maniera leale e consequenziale e senza afflati di sovranismo, non solo perché è giusto e corretto, ma anche perché ci giova:
A - strategicamente: come ho detto precedentemente tutti gli argomenti oggetto di promessa dovrebbero essere visti e pianificati in ottica Europea Non farlo porterebbe a soluzioni sottoottimizzate;
B - praticamente: giocando di conserva con la U.E. nell’implementazione delle promesse, avremo uno schermo per “nasconderci”, avendo così una opportunità per modulare le promesse, evitando di pagare un prezzo eccessivo. “Io eviterei di tassare le Big Tech, come promesso, ma sono parte della E.U. e devo seguirne le indicazioni …” potrebbe essere un approccio utile, intelligente e non disonesto.
Mi è chiarissimo che Meloni, per quanto abbia sottolineato che le politiche relative ai Dazi sono pertinenza esclusiva dell’Europa, aveva dietro di sé ilo supporto della Commissione. Mi auguro, però, che quest’ultima mantenga la schiena dritta e la mente fredda, e non rinunci a priorità strategiche e valori morali in cambio di condizionamenti economici di peso relativamente ridotto: una forte tassazione delle Big Tech, ad esempio, potrebbe produrre Fondi tali da consentire un sussidio ai settori colpiti più fortemente dai Dazi e permettere investimenti in settori strategici.
Non nascondo che, mentre per l’incontro Meloni/Trump “tifavo” per un successo, nel confronto Von der Leien/Trump non sono certo che una accordo sia nell’interesse a lungo termine dell’Europa.
Il confronto, reso possibile dall’attività di pontiere di Giorgia Meloni, dovrebbe essere vissuto non come un momento per “ristabilire” il rapporto con gli USA ma piuttosto come una occasione per “ridefinire” tale relazione. Che sia paritaria (i bulli capiscono solo chi reagisce ai loro spintoni), protettiva del modo di vivere e pianificare il futuro di noi europei, tesa a rilanciare industrie chiave come Difesa, Energie Rinnovabili, Spazio e Telecom e stabilire equità fiscale. Se il risultato fosse diverso, avremmo perso la partita.
Mi auguro anche che la U.E. non pigli, nel futuro, una posizione verso la Cina e l’Asia condizionata dai rapporti con gli USA. E’ necessario riconoscere l’inaffidabilità degli Stati Uniti: un tempo l’alternanza dei Partiti alla Casa Bianca provocava – almeno nella politica estera - cambi di direzione di pochi gradi, facilmente gestibili e che non impattavano violentemente i rapporti internazionali. Nell’ultimo decennio da Obama a Trump a Biden a Trump di nuovo il cambiamento è stato prossimo ai 180°, ogni volta.
Di fronte a questo fatto, che mi sembra obiettivo, bisogna certo ristabilire i rapporti con gli USA, ma anche stringere legami economici (e perché no, anche politici) sempre più forti con la Cina e l’Asia in generale, dalla Corea all’India.
Alcuni metodi di questi paesi possono non essere in linea con i nostri valori, ma sono almeno autocrazie che si muovono in maniera rettilinea, coerente e prevedibile. Sono Partners, molto probabilmente, ormai preferibili agli Stati Uniti Trumpiani , solo marginalmente più rispettosi dei diritti umani, e molto meno affidabili.
L’aut aut di Trump (“o con noi o con la Cina”) non è accettabile.
In conclusione … let’s make the West great again, ma che sia un Occidente basato su due gambe paritarie, non sbilanciato a favore degli USA, e che riconosca e rispetti i valori frutto di 80 anni di pace e Democrazia. Ma anche let’s make the Asia Road great again, così da avere l’Europa poggiata saldamente su due gambe: lo Zio d’America e l’Asia.
Perché Ovest, Est, Nord o Sud …, quello che interessa è la stabilità presente e futura dell’Europa e del suo modo di essere.