di Gianni Lattanzio
La transizione energetica, in un mondo segnato da crisi geopolitiche, escalation militari e accelerazione tecnologica, è oggi un tema centrale non solo per la sostenibilità ambientale ma anche per la sicurezza e la sovranità degli Stati. L’energia nucleare, spesso al centro di dibattiti e controversie, sta vivendo una nuova stagione di attenzione, tra promesse di decarbonizzazione, nuove alleanze internazionali e rischi di dipendenze strategiche. L’Italia, in questo scenario, si trova in una posizione particolarmente complessa e paradigmatica, come dimostrano le recenti scelte politiche e le analisi economiche più aggiornate.
Un nuovo scenario globale: escalation, potenze in competizione e alleanze mutevoli
Negli ultimi mesi, la geopolitica dell’energia ha subito una svolta drammatica: nel giugno 2025, l’attacco coordinato di Stati Uniti e Israele contro tre impianti nucleari iraniani (Fordow, Natanz, Isfahan) ha segnato un punto di non ritorno nelle relazioni internazionali e nella sicurezza energetica globale. L’azione militare, voluta dal presidente Trump, ha compromesso l’architettura diplomatica post-Seconda Guerra Mondiale, normalizzando la guerra preventiva come strumento di gestione delle crisi e indebolendo ulteriormente il ruolo delle istituzioni multilaterali.
In questo contesto, la competizione tra Stati Uniti e Cina si riflette non solo nel commercio e nella tecnologia, ma anche nelle scelte energetiche. La Cina, leader mondiale nella produzione di tecnologie verdi, controlla la quasi totalità delle terre rare e una quota dominante della produzione di pannelli solari, mentre gli Stati Uniti rispondono con massicci investimenti pubblici per rilanciare la propria industria energetica e ridurre la dipendenza dalle importazioni.
A questa polarizzazione si aggiunge il rafforzamento del blocco BRICS+, che con l’ingresso di paesi come Iran ed Egitto rappresenta ormai quasi la metà della popolazione mondiale. La Russia, in particolare, gioca un ruolo chiave offrendo tecnologia nucleare ai paesi emergenti, creando così nuove dipendenze e consolidando alleanze strategiche.
La guerra commerciale tra Occidente e Cina si estende anche al settore energetico: dazi europei sui veicoli elettrici cinesi e restrizioni statunitensi sulle batterie alimentano un clima di incertezza che rischia di rallentare la cooperazione internazionale.
Il paradosso nucleare: tra ritorno ai fossili, crisi e nuove promesse
Nonostante gli impegni internazionali per triplicare la capacità nucleare entro il 2050, si assiste a un ritorno dei combustibili fossili in molte economie avanzate. Negli Stati Uniti, la nuova amministrazione ha rilanciato la produzione petrolifera e la fratturazione idraulica, pur pianificando grandi investimenti nel nucleare (“Drill, baby, drill”). La Russia, invece, continua a esportare uranio verso l’Unione Europea, aggirando le sanzioni e mantenendo il controllo su numerosi reattori nell’Europa orientale.
Questa situazione evidenzia un paradosso: il nucleare viene promosso come soluzione alla decarbonizzazione, ma spesso si accompagna a politiche che favoriscono ancora i combustibili fossili, alimentando così nuove dipendenze e tensioni.
Anatomia della geopolitica nucleare: risorse, tecnologie e nuove dipendenze
Il nucleare, a differenza delle rinnovabili, si basa su catene del valore estremamente concentrate e vulnerabili. Sei paesi – Kazakistan, Canada, Namibia, Australia, Uzbekistan e Russia – coprono il 90% della produzione globale di uranio, con il Kazakistan solo che detiene il 43% del mercato. Il controllo delle fasi di arricchimento è dominato da pochi attori, in particolare la russa Rosatom, mentre la gestione delle scorie resta una sfida irrisolta per quasi tutti i paesi, con solo pochi depositi geologici realmente operativi.
Questa concentrazione crea nuove forme di dipendenza strategica, soprattutto per gli Stati che non dispongono di una filiera nucleare autonoma. La corsa agli SMR (Small Modular Reactors) e ai reattori di IV generazione promette maggiore flessibilità e sicurezza, ma la loro maturità tecnologica è ancora lontana dalla piena applicazione commerciale.
L’Europa tra sovranità energetica, crisi mediorientale e divisioni interne
L’Unione Europea si trova in una situazione di doppia dipendenza: da un lato continua a importare grandi quantità di gas dalla Russia, dall’altro molti paesi membri utilizzano reattori nucleari di tecnologia russa, che richiedono combustibile e manutenzione difficilmente sostituibili a breve termine. Le sanzioni contro Mosca hanno escluso il settore nucleare, proprio per evitare crisi immediate di approvvigionamento.
La recente crisi mediorientale, con l’attacco agli impianti iraniani e la conseguente sospensione della collaborazione di Teheran con l’AIEA, ha avuto impatti immediati sulla sicurezza regionale e globale, alimentando il rischio di escalation e instabilità duratura, con effetti a catena sui prezzi del petrolio e sulla sicurezza delle infrastrutture energetiche.
Per rispondere a queste vulnerabilità, la Commissione Europea ha lanciato nuovi investimenti negli SMR e nella ricerca nucleare, ma la strada verso una reale autonomia tecnologica è ancora lunga. L’adesione dell’Italia all’Alleanza Nucleare Europea nel giugno 2025, dopo anni da osservatore, è emblematica: il nostro paese è l’unico membro senza impianti attivi o in costruzione, ma cerca di posizionarsi come protagonista della nuova stagione nucleare.
Il caso Italia: ambizioni, limiti e nuove contraddizioni
L’Italia ha formalmente aderito all’Alleanza Nucleare Europea nel giugno 2025, accedendo a finanziamenti UE e partecipando allo sviluppo di reattori di nuova generazione e SMR tramite il consorzio Nuclitalia (Enel, Ansaldo Energia, Leonardo). Tuttavia, il nucleare italiano resta una prospettiva di medio-lungo termine: nessuna centrale è attualmente attiva, e la produzione effettiva è attesa non prima del 2035, subordinata a tempi autorizzativi e a un difficile consenso pubblico.
Secondo l’analisi della Banca d’Italia, il ritorno al nucleare non comporterebbe una riduzione dei costi delle bollette per i consumatori, a causa della struttura del mercato e delle componenti tariffarie. Il nucleare potrebbe invece contribuire a stabilizzare i prezzi, ma lo stesso risultato può essere raggiunto con contratti a lungo termine sulle rinnovabili. Inoltre, la dipendenza dagli idrocarburi verrebbe sostituita da una dipendenza da uranio e tecnologie straniere, spesso provenienti da paesi geopoliticamente instabili o poco affini all’Italia, come Russia e Kazakistan.
Sul fronte infrastrutturale, la gestione delle scorie resta un problema aperto: il Deposito Nazionale è ancora in fase di valutazione e la resistenza delle comunità locali è forte. Anche la realizzazione di nuovi impianti richiederebbe una significativa partecipazione pubblica, sia come investitore che come garante di sicurezza.
Le tensioni geopolitiche recenti: il fattore mediorientale e i rischi globali
Gli ultimi avvenimenti geopolitici hanno riportato al centro dell’attenzione i rischi legati al nucleare. I recenti attacchi israeliani e statunitensi agli impianti nucleari iraniani hanno sollevato timori per possibili fughe radioattive e destabilizzazione della regione, mentre l’aumento dei prezzi del petrolio a seguito degli attacchi alle infrastrutture iraniane ha dimostrato quanto le crisi locali possano avere impatti globali immediati. L’Iran ha sospeso ogni collaborazione con l’AIEA e vietato l’accesso ai propri siti nucleari, alimentando l’incertezza sulle tempistiche e sulle prospettive del programma nucleare regionale.
L’Unione Europea, impegnata in una difficile mediazione diplomatica, si trova a dover bilanciare la sicurezza energetica con la necessità di evitare escalation militari che potrebbero compromettere la transizione energetica. In questo quadro, la sicurezza degli impianti nucleari e la resilienza delle catene di approvvigionamento diventano questioni strategiche di primaria importanza.
Prospettive e raccomandazioni per l’Italia e l’Europa
Alla luce di queste dinamiche, appare evidente che il nucleare potrà avere un ruolo nella transizione energetica solo se inserito in una strategia più ampia e integrata. Per l’Italia, la priorità dovrebbe essere il rafforzamento delle rinnovabili, che già oggi incontrano ostacoli normativi e autorizzativi, e la diversificazione delle fonti di approvvigionamento, sia per l’uranio che per le tecnologie.
L’Unione Europea dovrà investire nella creazione di una filiera nucleare autonoma, promuovendo la ricerca e la cooperazione tra stati membri, senza trascurare la necessità di ridurre la dipendenza dal gas russo e dalle tecnologie extraeuropee. In particolare, destinare una quota significativa dei fondi per il nucleare alla fusione, potenziare la formazione universitaria e coinvolgere le imprese nazionali nei grandi progetti internazionali sono azioni chiave per il futuro.
Il ruolo strategico della fusione nucleare
A fronte delle criticità della fissione, la fusione nucleare si afferma come frontiera tecnologica e geopolitica. La fusione, a differenza della fissione, utilizza combustibili (deuterio e trizio) potenzialmente inesauribili e distribuiti globalmente, riducendo drasticamente le dipendenze strategiche e i rischi legati allo smaltimento delle scorie. Progetti come ITER, cui l’Italia partecipa tramite ENEA, rappresentano la punta di diamante della cooperazione internazionale in questo campo, con l’obiettivo di dimostrare la fattibilità scientifica della fusione entro il 2035 e la sua applicazione commerciale entro il 2050.
L’Italia è protagonista anche con il progetto DTT (Divertor Tokamak Test) a Frascati, che mira a consolidare competenze industriali e scientifiche di eccellenza. Investire nella fusione significa puntare su una soluzione che, seppur ancora sperimentale, potrebbe garantire energia pulita, sicura e virtualmente illimitata, con ricadute positive sull’occupazione qualificata e sulla competitività tecnologica nazionale.
Conclusioni: verso un nuovo paradigma energetico
Il nuovo paradigma energetico globale, segnato da conflitti e instabilità, impone scelte rapide e coordinate. Solo una governance trasparente, investimenti mirati e una strategia integrata tra nucleare, rinnovabili e sicurezza delle infrastrutture potranno garantire a Italia ed Europa un futuro energetico sostenibile, resiliente e indipendente, capace di affrontare le sfide di un mondo sempre più frammentato e competitivo.