di Ranieri de Ferrante
Gli USA di Trump vedono il Pacifico come il loro teatro principale, ed il teatro europeo è secondario. Questo porterà, inevitabilmente e contro le dichiarazioni di molti politici, al rafforzamento dell’Unione Europea. Il battito di pugni degli USA verso la Cina potrebbe però essere l’espressione di un bullismo sempre meno radicato nella forza. L’osservazione di quanto succede oggi e della storia degli USA nel Pacifico – da leggere però a parti invertite – dovrebbero preoccupare i governanti Americani. Non so se ne abbiano la capacità.
Nel 1910 un certo Horace de Vere Cole, un poeta di cui non sono riuscito a trovare alcuna poesia, si finse un Principe Abissino ed insieme ad un gruppo di amici – fra cui Virginia Stephen, che poi sarebbe divenuta Wolfe – visitò in pompa magna una nave della Marina Inglese, l’HMS (His Majesty Ship) Dreadnought. I burloni, durante la visita, usarono un linguaggio inventato, basato su greco e latino, intercalando ogni tanto “Bunga Bunga”. Questo scherzo, chiamato “the Dreadnought Hoax” è parte del folklore delle Marine Militari in tutto il Mondo, anche se dimostra che una delle frasi per cui siamo famosi nel Mondo (più di “eppur si muove”, nel quale, per chiarezza, Galileo faceva riferimento al pendolo) non è stata inventata in Italia. Il contrario di Meucci e del telefono.
Ma il nome della HMS Dreadnought è famoso per un altro, e ben più importante, motivo: si tratta della nave che rivoluzionò il modo di disegnare e costruire navi da battaglia. Non vi annoio con i dettagli, ma il fatto che da allora le corazzate si chiamarono Dreadnought è significativo. E quelle precedenti, le pre–Dreadnought, diventarono obsolete dalla sera alla mattina. L’Ammiraglio Sir John Fisher, First Sea Lord (Comandante in Capo) della Royal Navy, assunse l’incarico alla fine del 1904 con l’idea di rinnovare il Servizio di cui era a capo. Per raggiungere questo scopo ricorse alle idee di un architetto navale italiano (Vittorio Cuniberti) e nel gennaio 1905 formò un Comitato per definire le specifiche della nuova unità. Nel marzo 1905 il Comitato riportò le sue conclusioni a Fisher. La progettazione fu completata in pochi mesi e la costruzione avviata nell’ottobre 1905. Ci lavorarono fino a 3,000 persone allo stesso tempo e la Dreadnought fu varata nel febbraio 1906, andò alle prove in mare in ottobre ed a dicembre partì per la sua prima crociera.
Due anni da concepimento dell’idea ad operatività: la nave era lunga circa 160 metri e stazzava 18,000 tonnellate. Grande, per i tempi.
In queste settimane, la flotta cinese è in mare in forze: tre Task Forces comprendenti portaerei stanno proiettando l’immagine della Cina come una Blue Water Navy, cioè una Marina con la capacità di operare a livello mondiale. Le Blue Water Navies sono poche: USA, Gran Bretagna, Francia, Giappone, India, Italia e Russia.
L’Italia però a volte è considerata “Green Water”, per la sua proiezione principalmente mediterranea e la Russia opera solo attraverso i sottomarini: la sua unica “portaerei”, la Kutznetsov, si muove con un rimorchiatore al seguito data la frequenza delle avarie.
La Cina è entrata nel club a pieno titolo, ed in pochi anni.
Un esempio precedente, molto simile, ci viene ancora dall’Oriente: il Giappone, da poco uscito dall’epoca dei samurai, in tempi brevissimi creò una Marina di livello mondiale, e le diede di santa ragione all’Impero Russo nella Battaglia di Tsushima (1905, lo stesso anno in cui Fisher lavorava alla Dreadnought). Le navi che l’Ammiraglio Togo portò alla vittoria erano costruite in Inghilterra, ma quelle con cui il Sol Levante affrontò la US Navy nel 1941 erano made in Japan. La flotta era decisamente più moderna, efficace, e meglio addestrata di quella americana, e la Marina Imperiale prevalse più volte, specialmente nei combattimenti notturni, fino al giorno fortunato (per gli Stati Uniti) della battaglia delle Midway. Poi ci torniamo.
Per tornare alla Cina, oggi la sua Marina è in crescita rapidissima, sia in termini numeri che di qualità. La sua prima portaerei, la Liaoning, era una classe Kuznetsov (come quella russa che va in giro con il rimorchiatore) che è stata decostruita e ricostruita, con modifiche, ed a differenza della quasi gemella russa funziona bene. Nel 2019 ne vararono una seconda, la Shadong, ispirata alla prima ma ad altissimo contenuto cinese. La terza, la Fujan, è sostanzialmente paragonabile (è marginalmente più piccola ed ha propulsione tradizionale invece che nucleare) alle superportaerei americane ed è già in servizio. E’ cominciato il lavoro sulla quarta che non avrà nulla da invidiare agli USA.
In poco più di 10 anni la Cina è passata dal riadattare una vecchia portaerei russa a rivaleggiare con chi delle portaerei è re da 100 anni. Mi ricorda la Dreadnought di Fisher, e la vittoria giapponese a Tsushima.
A questo si associano sviluppi bellici che completano la proiezione della flotta:
a – materiali stealth superiori a quelli americani, con i quali fabbricare sistemi d’arma in grado di sfidare anche il nuovo scudo di protezione Golden Dome statunitense;
b – innovazioni nei droni, da sistemi AI per guidarne gli sciami, a super droni e droni da alta quota, fino a droni “portadroni” che operino come portaerei volanti. E parlandi di droni, nell’arsenale cinese ci sono droni piccoli come insetti per raccogliere informazioni (la famosa “mosca sulla parete”) e robot che fabbricano droni;
c – sottomarini estremamente silenziosi (26 decibel, “rumorosi” come una libreria molto silenziosa) e siluri ultraveloci guidati da AI che permette di evitare le contromisure di difesa del nemico.
Ed infine gli aerei cinesi di quinta generazione non sono inferiori a quelli USA, e la sesta generazione è in arrivo (così leggo … di aerei ne capisco molto meno che di navi …)!
La strategia militare è completata da un macroavvolgimento nelle infrastrutture: La Cina ha creato una Organizzazione, la Aiib, per essere proattiva all’estero, e si esprime attraverso l’iniziativa della Via della Seta ed i prestiti (i “Panda Bonds”) a governi che il Dragone vuole farsi amici. Così sta guadagnando posizioni in Sud America ed in Africa, che invece gli USA stanno abbandonando per risparmiare pochi milioni in USAid. E poi: importanti investimenti di tipo finanziario ed operativo in porti esteri, la ferrovia Pechino Teheran ed a casa, nella zona di Xiong’an, 100 Km a sud di Pechino una rete 10G che darà un vantaggio enorme per l’Intelligenza artificiale. Intanto noi noi stiamo fieramente passando da 4G a 5G.
Gli USA fanno molto meno in campo di proiezione all’estero mediante infrastrutture. Perdono in termini di soft power, ed al tempo stesso di hard power: la loro Marina, che ne è il veicolo principale, non è più quella di prima. Il fallimento del concetto delle nuove Littoral Ships ha fatto male, così come la “resa” tecnologica della cantieristica USA che è stata costretta a scegliere, per le sue nuove fregate, il disegno FREMM di casa Fincantieri. Poi ci hanno voluto mettere il naso dentro, però, ed ho letto che il progetto è fermo al 10% di esecuzione …
Su scala ancora maggiore, la classe di cacciatorpediniere Zummwalt, che dovevano essere l’ossatura della flotta, ha avuto grossi problemi di sviluppo: ne erano previsti 32, ma 29 sono stati cancellati, sia per problemi di tenuta del mare, sia perchè l’artiglieria tradizionale che montano non può operare: il munizionamento (speciale) costa troppo, circa 1 milione per proiettile! L’arsenale americano ne ha solo 90. Per fortuna, oltre a questi cannoni inutili, hanno molti lanciatori di missili, altrimenti sarebbero delle navi da crociera dalle linee molto eleganti.
La US Navy ha rimediato con la quarta serie della classe Burke. Il nuovo Flight 4 ha eccellenti caratteristiche. Sono belle navi, ma il loro disegno generale va verso i 40 …
Ritornando alla storia, quando il Giappone attaccò gli Stati Uniti, fu sfortunato: non trovò le portaerei americane a Pearl Harbor, e poi fu sconfitto alle Midway, grazie ad un uomo - l’allora comandante Layton, poi diventato Ammiraglio – che “indovinò” le mosse della flotta giapponese. Dopo le Midway non ci fu più storia: i cantieri americani sfornavano portaerei come grissini (cominciarono la guerra con sette, finirono con 122 …), mentre il Giappone era strozzato.
Oggi il Vice Direttore della CIA ha definito la Cina una minaccia esistenziale, ed ha messo in dubbio la capacità degli USA di mantenere il dominio tecnologico. Hegseth e Trump non perdono occasione per sottolineare che il Pacifico è il loro teatro chiave, e la difesa di Taiwan l’obiettivo, o forse la scusa.
La Cina stringe sempre più il cappio intorno a Taiwan, la cui capacità di difesa è giudicata, da osservatori USA ed internazionali, molto carente. E intanto, la stessa Cina sfida l’America commercialmente.
Se dovesse scoppiare una guerra nel Pacifico fra Cina ed USA le parti sarebbero invertite rispetto al 1941: gli USA hanno ancora un piccolo margine e potrebbero vincere, ma dovrebbero farlo in fretta: non avrebbero, infatti, la possibilità di sostenere la guerra a lungo.
Si troverebbero nello scomodo ruolo che fu allora del Giappone. La cantieristica mondiale è infatti dominata dalla Cina con il 70% (leggasi settanta per cento) della capacità, seguita da Corea e Giappone. E Corea e Giappone mostrano segni di allontanamento dalla stretta cooperazione con la Nato.
Cantieristica USA invece … non pervenuta …
Sono certo qualcuno vorrebbe obiettare che, in caso di sconfitta sul campo, gli USA avrebbero “la Bomba”. Anche questa, in realtà, è una illusione. Gli USA hanno 5.000 testate nucleari, la Cina meno di mille, ma ne aggiunge 100 all’anno ed avrà presto la superiorità nei vettori balistici.
E comunque, avere 1.000 testate o 5.000, che differenza fa?
Quando ero Direttore Generale della Nuova Magrini Galileo avevo 38 anni, e l’Amministratore Delegato ne aveva oltre 55. Era còrso, ed un giorno andammo a mangiare insieme a Bergamo alta, in Piazza Colleoni .
“Lei sa perché Colleoni si chiamava così” mi chiese con accento francese ed aria furbetta “certo, risposi, perché si dice che avesse tre testicoli” “sarebbe comodo” chiosò lui, ed io distratto “non lo so, a me due bastano ancora”.
Non fummo mai amici, e questa conversazione forse contribuì.
Ma una cosa è certa: non so se due testicoli bastano, ma due bombe si. Figuriamoci 1.000.