di Daria Alexe
Il terrorismo contemporaneo ha abbandonato le strutture gerarchiche del passato per assumere una natura fluida, decentralizzata e adattiva, capace di muoversi tra dimensione fisica e digitale con la stessa efficacia. In Italia, questa trasformazione rappresenta una sfida urgente: pur disponendo di un sistema di sicurezza tra i più solidi d’Europa, il nostro.
Paese rischia di essere sempre un passo indietro rispetto a minacce che evolvono alla velocità della tecnologia. Le organizzazioni terroristiche odierne non colpiscono soltanto sul piano fisico ma operano sul piano cognitivo, manipolando informazioni, sfruttando algoritmi per reclutare individui singoli e addestrandoli attraverso strumenti digitali spesso invisibili ai servizi tradizionali. La minaccia “liquida” del XXI secolo comprende cellule autonome, attori solitari e network digitali, capaci di impatti strategici concreti in territori anche lontani, generando paura diffusa e destabilizzazione psicologica.
Negli ultimi anni, l’Italia ha affrontato minacce eterogenee: dalla radicalizzazione jihadista dei foreign fighters alla propaganda estremista su piattaforme crittografate, dall’eco-estremismo ai casi di terrorismo anarchico-insurrezionalista. L’esperienza mostra che la capacità di anticipare la minaccia è più decisiva della semplice reazione. I servizi italiani hanno dimostrato competenza, ma le strategie restano spesso frammentate e reattive. È necessario un salto di qualità verso un Antiterrorismo 4.0, in grado di integrare tecnologia predittiva, analisi dei big data, cooperazione interforze rapida e aggiornamento normativo coerente con le minacce emergenti.
La prima dimensione strategica riguarda l’intelligence predittiva. Oggi gli attacchi nascono spesso da segnali deboli, percepibili solo tramite analisi avanzate dei dati comportamentali, dei flussi online e delle transazioni digitali sospette. La creazione di unità dedicate alla data fusion, capaci di integrare informazioni da intelligence, forze dell’ordine e settore privato, rappresenta un vantaggio strategico imprescindibile. Attraverso algoritmi in grado di individuare schemi di rischio e modelli comportamentali anomali, l’Italia potrebbe prevenire attentati prima che la minaccia diventi concreta, trasformando la prevenzione in leva operativa di sicurezza nazionale.
Anche la protezione delle infrastrutture critiche richiede un approccio moderno e multidimensionale. Energia, porti, aeroporti, reti digitali e strutture sanitarie sono bersagli sensibili. Nel 2024, in Europa, un gruppo filojihadista ha tentato attacchi con droni contro ospedali e raffinerie, evidenziando la vulnerabilità delle infrastrutture tradizionali. In Italia, casi recenti hanno mostrato come droni commerciali modificati e hackeraggio di sistemi SCADA possano rappresentare una minaccia concreta. La risposta non può limitarsi a barriere fisiche: servono sistemi integrati di sorveglianza intelligente, contromisure elettroniche, radar passivi anti-UxS e integrazione con sale operative centrali della Difesa. La sicurezza fisica deve diventare resiliente e dinamica, capace di adattarsi a minacce ibride in tempo reale.
Il contrasto alla radicalizzazione online è un ulteriore punto critico. Piattaforme come Telegram, Discord, TikTok e persino videogiochi sono utilizzate per diffondere ideologie estremiste, veicolare manuali operativi e raccogliere fondi. Tra il 2022 e il 2025, oltre il 40% dei casi di radicalizzazione individuati dal ROS e dalla DIGOS è avvenuto online, spesso con soggetti soli o minori vulnerabili. L’Italia potrebbe trarre esempio dal modello britannico del RICU, sviluppando unità civili integrate per la contro-propaganda digitale, narrazioni alternative e strumenti operativi per infiltrare e interrompere reti virtuali di reclutamento, coordinando intelligence, polizia e istituzioni educative.
La dimensione normativa completa il quadro: l’Italia possiede leggi antiterrorismo solide, ma oggi servono aggiornamenti mirati. Occorre regolamentare l’uso duale dei droni, criminalizzare l’incitamento algoritmico alla violenza, rendere tracciabili i finanziamenti in criptovaluta legati al terrorismo e allineare le procedure di cooperazione internazionale alle nuove minacce cibernetiche. Solo con norme snelle, coerenti e aggiornate si possono chiudere i vuoti sfruttati da attori esterni e garantire rapidità operativa.
Anche la cooperazione internazionale è un pilastro imprescindibile. La posizione geografica dell’Italia, tra Europa, Balcani e Nord Africa, e le relazioni storiche nel Mediterraneo, offrono un vantaggio strategico. La creazione di un centro permanente a Roma, dedicato all’analisi della radicalizzazione e delle reti terroristiche nel Mediterraneo, integrato con Europol, Frontex e task force NATO, permetterebbe di monitorare flussi finanziari, migratori e informativi, fornendo dati strategici per anticipare minacce transnazionali. L’Italia potrebbe così trasformarsi in hub europeo per l’antiterrorismo avanzato, proiettando capacità di prevenzione oltre i propri confini.
L’Antiterrorismo 4.0 è una questione di integrazione e cultura operativa. La tecnologia da sola non basta, né la competenza operativa tradizionale. Serve un sistema in cui analisi predittiva, difesa intelligente delle infrastrutture, comunicazione strategica e normativa aggiornata convergano in una governance efficace e rapida. Ogni attacco sventato e ogni rete smantellata hanno mostrato che la differenza tra successo e fallimento dipende dalla conoscenza, dalla velocità e dal coordinamento. I casi italiani di operazioni come “Mosaico” o il monitoraggio dei foreign fighters nel 2023-2024 dimostrano che l’efficacia cresce quando intelligence, polizia e magistratura operano in sinergia. Ma senza un salto verso una cultura preventiva e tecnologicamente avanzata, l’Italia rischia di inseguire le minacce invece di anticiparle.
La posta in gioco è chiara: non si tratta solo di proteggere vite, ma di garantire la stabilità dello Stato, la coesione sociale e la credibilità internazionale. La capacità di prevenire, analizzare e rispondere in tempo reale sarà il vero fattore di vantaggio competitivo per l’Italia nel Mediterraneo e in Europa.
L’Italia ha davanti a sé una scelta strategica netta: consolidare le eccellenze operative esistenti e trasformarle in un sistema predittivo e integrato, oppure continuare a reagire con strumenti reattivi, rischiando di arrivare sempre un passo indietro. Solo combinando audacia strategica, innovazione tecnologica e una visione chiara del ruolo dello Stato nella protezione dei cittadini e delle infrastrutture, il Paese potrà trasformare esperienza storica e capacità operative in vantaggio competitivo reale. L’Italia deve diventare leader europeo nella prevenzione avanzata del terrorismo, capace di affrontare le minacce liquide e ibride che caratterizzano l’orizzonte 2025 e oltre, mostrando che sicurezza nazionale, innovazione e resilienza possono convivere senza compromessi.
