di Andrea Cucci
In un Paese in cui la stratificazione istituzionale è profondamente radicata nel suo tessuto quotidiano, Roma vive una condizione anomala e insieme paradigmatica. Capitale riconosciuta dall'articolo 114 della Costituzione, sede delle istituzioni nazionali, punto di contatto fra civiltà millenarie e sfide contemporanee, eppure, a oggi, ancora priva di un assetto giuridico che ne rifletta davvero la complessità.
Nel dibattito sulla legge su Roma Capitale, tornato con forza nell’agenda politica, si intrecciano visioni diverse, ma un dato rimane costante: nessuna grande capitale europea è costretta a operare con strumenti ordinari. Né Londra, né Parigi, né Berlino devono negoziare la propria eccezionalità con i limiti di una normativa pensata per città profondamente diverse.
Roma, al contrario, galleggia da anni tra leggi speciali a termine, fondi straordinari e intese occasionali.
Giubilei, PNRR, grandi eventi diventano l’unico ossigeno per una macchina amministrativa che non respira mai in modo autonomo. Eppure, ogni giorno, Roma svolge funzioni che nessun’altra città si trova a esercitare: rappresenta lo Stato, l’Europa, le religioni, la cultura, il Mediterraneo.
La legge su Roma Capitale non può dunque essere trattata come una questione locale.
È una riforma di sistema, che impone una riflessione più ampia sul rapporto tra centro e periferia, tra metropoli e municipi, tra autonomia e responsabilità. Perché dare più poteri alla Capitale significa anche costruire un nuovo equilibrio urbano, che coinvolga attivamente i municipi come primi terminali di prossimità.
Ma c’è di più.
La posta in gioco non è solo amministrativa. È geopolitica.
In un’epoca in cui le città sono attori globali, capaci di influenzare flussi economici, climatici, tecnologici, Roma ha il dovere – e il diritto – di contare di più.
Una Capitale forte, capace di programmare, decidere e dialogare a livello internazionale, è una risorsa per l’intero Paese. Ma questo richiede una riforma limpida, bipartisan, e soprattutto un impegno che vada oltre le stagioni politiche.
Nell’attesa di una revisione costituzionale, qualcosa si può fare subito: recuperare uno strumento come la legge 396 del 1990, aggiornarla, finanziarla, restituendo a Roma un respiro ordinario prima che le emergenze diventino l’unico metodo di governo.
Roma non chiede privilegi, ma coerenza.
Se la vogliamo Capitale, mettiamola in condizione di esserlo davvero.
Con una legge che non sia solo l’ennesimo esercizio normativo, ma un atto politico consapevole, finalmente all’altezza della storia che rappresenta.