di Francesca Ferrante
Quando ho sentito parlare per la prima volta di questa pandemia di Covid-19, era all’incirca fine gennaio. Avevo appena preso una brutta influenza e, ascoltando fuggevolmente la tv, guardavo quelle immagini così lontane, quelle notizie confuse e, tra un pipistrello ed una catena del DNA, pensavo che...beh, la Cina non è poi così vicina. In fondo era soltanto una brutta influenza stagionale, una triste reminiscenza di darwiniana memoria in cui ci si aspetta che i più deboli soccombano senza tanto clamore.

Ma c’era in realtà una parte di me, quella odiata coscienza attiva e pungente, che non si placava e forse per troppi film di fantascienza visti, era convinta che ogni azione, seppur lontana, possa avere inaspettate conseguenze. Del resto, Lorenz nel 1962 l’aveva anche scritto: "un battito delle ali di un gabbiano sarebbe stato sufficiente ad alterare il corso del clima per sempre".
Direi che le ali di un pipistrello sono state sufficienti a scatenare il caos.
Così mi recavo a Roma poche settimane dopo i primi casi in Cina per lavoro e chiedevo ai miei compagni occasionali di viaggio, cosa pensassero di questo Coronavirus che tanto mi angosciava, liquidando le mie ansie con le solite noiose teorie complottistiche. Come avrebbe detto il buon Shakespeare, con qualche licenza poetica, la quiete prima della tempesta.
Vorrei fare una breve premessa sui pensieri che mi accingo a condividere con tutti voi. Nella mia vita ho avuto il privilegio, riservato a pochi, di aver viaggiato molto. Mete lontane, anche lontanissime che mi hanno consentito di incontrare popoli e culture differenti.
Questa lunga esperienza fatta di aeroporti, scali notturni, code infinite, tre anni e mezzo da e per l’Australia, mi ha impartito una semplice lezione: non esistono distanze talmente ampie da non poter essere raggiunte o un mondo così vasto da non essere un unico vivace condominio.
Ebbene l’insegnamento era corretto. Purtroppo i luoghi comuni si sbagliano e l’abbiamo scoperto a nostre spese a marzo.
Così poche settimane dopo la mia ultima trasferta romana è scoppiato l’inferno. Una devastazione di lutti e lacrime.
Ci siamo aggirati impauriti nelle nostre comode abitazioni, ascoltato con trepidazione ogni giorno la conferenza della Protezione Civile, alla ricerca di rassicurazioni che nessuno poteva darci.
Credo che tra qualche mese si svilupperà una intera ‘letteratura del Coronavirus’, in cui una vasta platea tra psicologi e sociologi cercherà di dare un senso a quanto accaduto e alle sue prossime conseguenze. In realtà, siamo tutti divenuti improvvisamente consapevoli che le piccole, spesso noiose e odiate abitudini moderne, erano l’aspetto più confortevole che potessimo possedere.
In questi mesi abbiamo scoperto una fragilità che credevamo superata dal progresso, una precarietà della scienza che pensavamo impossibile.
Abbiamo dovuto rammaricarci che siamo ancora umani, forse troppo.
La nuova rivoluzione copernicana Covid-19: estremamente democratica, nata da un corpuscolo invisibile che ha falcidiato potenti, scrittori, ricchi o poveri.
Da circa due anni svolgo consulenza in ambito parlamentare. È un lavoro che mi riempie di soddisfazioni e gioie. E’ un impegno che mi consente di poter offrire il mio piccolo contributo e fare la mia parte.
Ma sono anche un insegnante. O meglio lo sono sempre stata. Un’appassionata insegnante che non trascura di alzarsi all’alba per incoraggiare uno studente e seppur ancora giovane, ho assistito all’emancipazione di almeno un paio di generazioni. E come docente sento una responsabilità che nessuna occupazione attribuisce: costruire il futuro di tanti giovani adolescenti.
Nel mio caso, preparare e assistere ragazzi e ragazze all’inserimento nell’Esercito, nell’Arma dei Carabinieri, nella Guardia di Finanza, in Polizia mi ha fatto toccare con mano l’emozione di questi fieri e futuri membri delle nostre Istituzioni.
Per cui divisa tra l’Italia all’estero e giovani brillanti ho trascorso fino a marzo il mio confortante tran tran quotidiano.
Ma ecco che il Covid19 mette in crisi tutte le nostre radicate certezze. Il Coronavirus improvvisamente ha bussato alla nostra porta. O meglio, l’ha scardinata senza chiedere permesso.
Per una crudele beffa del destino, questo virus ci ha colpito in tutto ma specialmente in ciò che i social media credevamo avessero del tutto sostituito: i contatti umani. Quelli fatti di abbracci, strette di mano e baci sulle guance.
Ho così scoperto (in realtà ne ero già consapevole) che nessuno schermo o connessione LTE potrà mai sostituire una presenza fisica e le aule, talvolta polverose. Nessuna lavagna multimediale, Skype o Zoom o una conference call potrà cancellare l’aroma alcolico dei pennarelli sulle lavagne. Niente potrà darci più soddisfazioni di esserci lavati le mani dopo aver toccato per ore libri e quaderni.
Nulla comparabile ad un bel sorriso in classe, alla tua grafia sugli appunti dei ragazzi o al caffè pre-lezione.
Proprio per questo riaprire le scuole non è lezione di stile, non è un’esigenza da radical chic o da élite culturale.
Un’intera generazione, quella dei diplomandi del 2020, non ha avuto ‘la sua notte prima degli esami’, tantissimi bimbi non avranno il ricordo vivido del sorriso dolce della loro maestra, ne’ delle gare in classe a chi ha l’astuccio più bello o la matita più colorata. L’istruzione è veicolo di cambiamento: gli insegnanti sono un solido ponte sul futuro dell’Italia. Proprio i nostri docenti che non protestano nelle piazze per gli stipendi insufficienti, ma per cattedre e supplenze. Quelli che vogliono lavorare...non importa come e dove. Quell’esercito di uomini e donne che negli ultimi anni deve lottare per avere il rispetto che merita.
Perché, cito Lee Iacocca, che di lavoro faceva il manager alla Chrysler, non l’insegnante: ‘in una società completamente razionale, i migliori di noi dovrebbero aspirare a diventare insegnanti e il resto di noi dovrebbe adattarsi a qualcosa di meno, perché il trasmettere la civiltà da una generazione a quella successiva dovrebbe essere l’onore più alto e la più alta responsabilità che chiunque possa mai avere’.
Dal mio canto, il mese scorso sono rientrata nella mia aula.
Quella in fondo al corridoio.
Avevo una paura mista ad aspettativa che mascherina e igienizzante non riuscivano a placare. Ma quando ho visto lo stesso timore sui volti dei miei studenti, ho improvvisamente avuto una fulminante epifania: ero io l’adulta in quell’aula. Ero io a dover millantare una sicurezza che non avevo. Proprio come i genitori alle prime armi o i novellini in caserma. Un repentino passaggio dal piano logico a quello ontologico...per cui, se ostenti sicurezza, questa esiste.
Un coraggio consapevole che da settembre pervaderà il Paese in ogni suo angolo.
Il 14 settembre sarà una festa per tutti, ma anche una grande sfida nazionale.
Perchè al di là di disposizioni di legge, decreti governativi, temperature, banchi con o senza rotelle, termometri e mascherine finché quelle aule non riapriranno i battenti, finché i bidelli non torneranno ad essere il simpatico ‘servizio clienti’ di insegnanti e studenti, il Paese non ritornerà a posto. Quello che conoscevamo e che forse avremmo voluto diverso.
Perché, con buona pace di vacanzieri e similia, non sono le coste, il mare, il sole o l’abbronzatura stagionale a renderci italiani, a fare di noi una comunità. No! Facciamocene tutti una ragione. Mettiamoci tutti il cuore in pace una volta per tutte.
Ciò che fa di noi una vera comunità che si riconosce intonando l’inno, che canta dai balconi con i lacrimoni, che rispetta riluttante le regole, sono proprio le scuole e quell’universo che gravita tutt’intorno.
È Il prof di matematica del liceo che rimandava a settembre, l’insegnate di filosofia che ci ha cambiato la vita, quelle stanze che talvolta cadono a pezzi da Nord a Sud, quei muri scrostati che ‘ci si dovrebbe far qualcosa assolutamente’.
Sono proprio loro. La passione storica, la nostra cultura insegnata e tramandata.
Le qualità di un Paese che reagisce anche quando non ne ha la forza o crede di non averla.
Il nostro Paese. Questa grande piccola Italia.
Per cui...buona scuola a tutti!!!

31-07-2020
Autore: Francesca Ferrante
Insegnante
meridianoitalia.tv

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