Il trasporto aereo nel periodo della pandemia da covid-19  è stato letteralmente devastato da questo tsunami sanitario che ha paralizzato le nostre società e direi le nostre vite. Ancora oggi lo scenario è tutt’altro che chiaro, ora che il Governo ha emanato il cd. Decreto Rilancio che permetterà presumibilmente lo spostamento tra le regioni italiane a partire dal 3 giugno, molti potrebbero pensare che siamo fuori dal guado, ma non è così. Infatti sulla riapertura del 3 giugno ancora ci sono molte incognite e comunque la sua incidenza sul trasporto aereo, sarà minimale. La crisi economica che si traduce in perdita massiccia di posti di lavoro, ancora non si è presentata in tuttala sua crudeltà, presumibilmente i suoi effetti più veritieri si vedranno il prossimo autunno che si preannuncia molto caldo, caldo che certamente non sarà da attribuire all’innalzamento delle temperature globali dovuto all’inquinamento, per coloro che amano il verbo di Greta.  

Tutto ciò, si riverbera in maniera potente sul trasporto aereo, e inevitabilmente su tutta l’industria del comparto che è una catena molto lunga e vale solo in Italia il 2,6% del Pil, ossia una cifra prossima ai 50 miliardi di euro e centinaia di migliaia di posti di lavoro. Il problema principale è certamente il Coronavirus e la paura del contagio, ma non solo. Infatti oggi quello che sembra essere più in crisi non è solo la nostra economia in senso lato, ma l’Unione Europea. I paesi de Vecchio Continente, anche nella pandemia sono andati in ordine sparso adottando misure differenti e non concordate, con chiusure unilaterali dei confini per proteggersi dalle contaminazioni, sottovalutando ad esempio, come sta tristemente emergendo, che il virus circolava già dalla fine dello scorso anno, ed è inutile chiudere la stalla quando i buoi sono già scappati. Se voli verso Vienna, una volta atterrato hai la duplice opzione per cui o rimani in quarantena per 14 giorni oppure paghi seduta stante 190€ fai un esame in aeroporto al “volo” e appena ottenuto il responso, se negativo sei libero, altrimenti, se positivo, ti ritrovi al confinamento coatto per motivi sanitari. Se sei spagnolo e vuoi andare in Francia non puoi farlo e viceversa sino a metà giugno, ma se sei italiano oggi puoi andare in Francia senza problemi. Come si capisce il quadro è desolante e soprattutto non permette di pianificare un granché. Il primo vettore aereo italiano, ossia Ryanair, che ricordiamolo, controllava oltre il 50% del traffico aereo nostrano, riprenderà a volare dal 1° luglio con circa il 40% dei voli rispetto al periodo pre-pandemico. Il problema è che in Italia il Decreto in vigore impone alle compagnie aeree di vendere i biglietti a bordo con la classica modalità a scacchiera per garantire il distanziamento sociale, che tradotto in termini pratici, vorrebbe significare che a seconda degli aerei impiegati, le compagnie potranno vendere dal 50 ad un massimo del 65% dei posti disponibili. Questo significa che le compagnie aeree sarebbero obbligate a viaggiare in perdita. Infatti, gli appassionati del settore, sanno che la struttura dei costi fissi del trasposto aereo (stipendi da pagare al personale navigante, carburante, diritti fissi di sorvolo, fee aeroportuali e costi di handling ecc...), sono tali e tanti che nella normalità delle ipotesi, se non vendi almeno il 70% dei posti disponibili a bordo dell’aeromobile, viaggi in perdita. La soluzione naturale è aumentare il prezzo dei biglietti si potrebbe pensare, ma non è così, perché viaggerebbero o solo i più facoltosi, o solo quelli che debbono percorrere una distanza talmente elevata che non ci sono mezzi alternativi convenienti (immaginiamo un volo transoceanico). Quindi è ipotizzabile che in attesa del vaccino, la mobilità si riduca fortemente, colpendo non solo l’industria del trasporto aereo, ma anche gli altri mezzi di locomozione come treni e autobus. La crisi del trasporto aereo travolge già ora anche gli aeroporti, perché sia i gestori che le società di handling non hanno la forza economica di andare avanti e rispettare i contratti in essere, soprattutto i contratti di programma e i relativi investimenti per ammodernare gli aeroporti. Il prezzo sarà decisamente alto da pagare, non bisogna essere profeti per capire che molte società falliranno, sia a terra che in aria, e se oggi lo Stato Italiano ha nazionalizzato la nostra cara (in tutti i sensi) ex-compagnia di bandiera Alitalia, domani dovrà provvedere ampiamente anche alla gestione diretta di molti aeroporti italiani andando a creare una società ad-hoc in tal senso. Siamo di fronte ad una svolta epocale: sono bastati 3 mesi di covid-19 e di lockdown sociale, per passare dalla fase della privatizzazione selvaggia a quella della nazionalizzazione altrettanto selvaggia di mille aziende. Infatti se il Paese vorrà minimamente ripartire, non potrà che tornare a gestire larghe fette dell’industria nazionale come era in passato. Insomma il ritorno dell’Iri è inevitabilmente alle porte. Chiudiamo sottolineando la triste distanza se non addirittura assenza dell’Unione Europea. Dove sono, soprattutto ora, le regole uguali per tutti, tanto care al Trattato di Lisbona? La speranza della ripartenza è legata a doppio filo a questo delicato aspetto, la cui mancanza ci riporterebbe ad uno scenario stile anni 60: Ognuno per sé,  Dio per tutti!

25-05-2020
Autore: Il Lauretano
Esperto in politiche del trasporto aereo
meridianoitalia.tv

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