di Annalisa Libbi

In questo rincorrersi di notizie di artisti che cercano l’oblio, c’è un cantante, Tananai, che, dopo una pausa è tornato a raccontarsi con nuova musica. Per sua stessa ammissione, si è concesso una sorta di “recollection in tranquillity”, quella cosa che permetteva ai poeti romantici la creazione e, deve avergli fatto bene la tranquillità perché “Veleno”, il suo nuovo pezzo, è già una tendenza.

Tananai fa musica nuova ma, allo stesso tempo, crea anche delle meravigliose connessioni col pregresso, coinvolgendo i fan in un percorso in cui lui prende per mano, e si fa prendere per mano, mentre cammina sulle note e parole che sono anche le note e parole della sua anima e della sua vita.

Perché è sì importante la musica, per lui una ragione di vita, ma i versi con cui intreccia gli spartiti lo sono altrettanto.

E se Tananai porta la sua vita nella musica, l’amore non è certo un aspetto secondario.

Così il veleno che da il titolo al suo nuovo pezzo, quel veleno che nella canzone Saturnalia, dedicata alla sua bellissima Sara, sembra essere privo di antidoto, ora si può gestire e “mi avvelenerò”.

In una sorta di ossimoro che scorre lungo tutta la canzone, questo veleno sembra dare vita, ma anche senso, ad un amore che ci viene raccontato da un osservatore, prima omniscente che canta in terza persona, ma che poi ci confessa, usando l’io, “che non va piano questo treno per cui sto sotto di te”. Quando canta “non fare quella faccia di chi sa che farà soffrire” sembra ritagliarsi un ruolo più attivo rispetto al passato poiché, di quell’amore gli importa e, tutto il resto, anche “perdere gli aerei” diviene qualcosa di secondario perché “cosa me ne frega, tanto resto qua”.

Tananai ci ha abituati alla sua retorica fatta di metafore, contrasti ed esagerazioni ma anche di citazioni che sembrano immagini cinematografiche, come nella prima strofa della canzone, dove c’è un lui che si approccia con un “dov’è che ci siamo già visti?” e una lei che “ovviamente non ci casca”. Nessuna parola è lasciata al caso proprio come quell’”ovviamente” che, sembra comunicare la forza che l’artista riconosce alle figure femminili anche, ma non solo, della sua vita.

Alberto Cotta Ramusino, il suo vero nome che si legge alla fine del testo di Veleno, ama giocare con le parole, come nella sinestesia delle “labbra tra parentesi” che, smontando l’uso della retorica tradizionale che associa parole attinenti a sensi diversi, produce una metafora della tristezza la cui forma grafica non sarebbe tanto difficile ritrovare nei messaggi di testo dei cellulari della sua adolescenza.

Ed è proprio in questo uso abile di significati e significanti, di amori che lo fanno tremare dal freddo d’estate, consumati in un angolo, fatti di occhi tristi, dell’azzeccatissima similitudine degli scacchisti, la cui abilità ad anticipare il pensiero dell’avversario può essere, per certi versi, peculiare in una relazione affettiva, che è possibile ritrovare quello “spleen” di Tananai, quel modo di essere che lo rendono unico.

Nel primo fotogramma del video del suo vecchio pezzo “Calcutta” troviamo una citazione di Sartre: “L’enfer c’est les autres” e per tutto il resto del brano vediamo Tananai cantare chiuso in una stanza le cui pareti sono tappezzate dalle foto di quegli “altri” che, forse, rappresentano l’ideale, il parametro di giudizio della vita e che rendono la porta di quella stanza difficilissima da aprire.

Quasi come in un manifesto generazionale, Tananai cantava la difficoltà di trovare le parole giuste, o forse quelle che gli altri si aspettano –“sapessi scrivere un po’ meglio”-, le proprie passioni che se anche non visita musei sulle sue braccia ha tatuati dipinti di Scheile.

Il video di quel brano si conclude con il protagonista davanti ad una porta che riesce finalmente ad aprire, neutralizzando così l’inazione che quelle pareti gli provocavano.

Tananai che oggi canta “Veleno” è un artista talentuoso e gentile che, aperta la porta di quella stanza, ci regala ancora un bellissimo pezzo, di versi che sanno essere poesia, cantati con una voce dolce e struggente che è solo sua.

Attraverso un cammino di crescita personale e artistica, ha saputo dare una cornice di senso al suo desiderio di scendere dal palco per abbracciare le persone, cantando non ciò che si aspetta piaccia ma, pezzi di vita che generano così nuove relazioni che, se anche vissute con i tanti fan che lo seguono, non mancano per questo di empatia.

Questa sua esigenza di autenticità, questo continuo rimettersi in discussione, il suo amare le persone, sembrano essere il segreto di quell’alchimia che si percepisce quando lo si ascolta, che sia alle cuffie o dal vivo con i suoi bravissimi e non casuali musicisti, e che fanno ben immaginare che ascolteremo ancora per tanto tempo le canzoni di Tananai.

21-03-2024
Autore: Annalisa Libbi
Insegnante, già Vicepresidente di Azione Cattolica dell’Arcidiocesi Metropolitana di Pescara-Penne
meridianoitalia.tv

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