Maurizio Cociancich

Il Made in Italy, la nave ammiraglia della nostra economia, si ritrova nel bel mezzo di un mare in burrasca, mentre le previsioni non sono in grado di stimare la durata della tempesta ed attorno, per di più, si è alzata una fitta nebbia che impedisce di vedere gli scogli di una riva solo immaginata. Un virus, il Covid-19, ha determinato una perturbazione globale inaspettata che per prima ha toccato le terre interne dell’Impero di Mezzo per poi spostarsi celermente verso un’Europa anziana ed impreparata. Quando ed in quali condizioni arriverà a riva il nostro vascello? Domanda lecita. Ancor prima di chiedersi questo è indispensabile analizzare il perché ci troviamo nella burrasca.


Cosa sta accadendo a livello nazionale, europeo e globale? Torniamo a terra e cerchiamo di capirlo. Sembra evidente che la prima preoccupazione di individui e governi è, e deve essere, la tutela della salute. Non è possibile però non legare la preoccupazione per l’integrità delle persone all’incertezza per il destino dell’economia. Singoli cittadini, imprese e governo si stanno rendendo conto che il paradigma economico attuale vacilla e che è necessario pensare immediatamente alle misure per transitare verso un nuovo equilibrio.

Il virus Covid-19 ha fatto quello che le crisi precedenti di questo secolo e del secolo scorso non erano state in grado di fare: creare uno shock dell’offerta, uno shock della domanda ed influire in modo pesante sul modo di vivere, e quindi di consumare, delle persone. Il tutto contemporaneamente. Inoltre, l’incertezza su quando si potrà ritenere domato il virus, finita la tempesta e gestita l’asimmetricità dei suoi effetti a livello globale aggiungono una nuova complessità che le imprese, gli organismi sovranazionali ed i governi saranno tenuti a gestire. Ed attualmente sono impreparati a farlo.
Dal punto di vista temporale cos’è accaduto? Dicembre 2019, Cina, città di Wuhan. Il primo evento che si è potuto constatare è stato, chiaramente, lo shock sanitario, il quale ha provocato il blocco, prima parziale e poi completo, del sistema produttivo dell’intera nazione. Questa tragica litania si sta ripetendo nella nostra Europa, prima in Italia ed a seguire in altri Paesi come Francia, Spagna, Germania e Inghilterra, risucchiati nei vortici della tempesta perfetta. La contrazione dell’offerta, assieme alle necessarie restrizioni alla libertà di consumo, a cascata hanno provocato un forte shock della domanda, shock che rischia di inacerbarsi nel caso in cui la fiducia ed i consumi non ripartano. Un ulteriore colpo ai consumi potrebbe venir dato da un possibile, ma da evitare, aumento della disoccupazione, in primis quella derivante dal tracollo del settore turistico e della ristorazione.
Ma come si comprende facilmente questa non è una perturbazione di carattere nazionale. La scala a cui dobbiamo riferirci è necessariamente quella globale. Gli effetti sono visibili dagli andamenti delle borse e dalle reazioni delle banche centrali, siamo tutti coinvolti. Le catene globali del valore già da quel primo focolare di contagio in una provincia di cui non scorderemo più il nome, Hubei, sono state intaccate in modo strutturale. La Cina si è bloccata e questo ha avuto ripercussioni ogni dove in quanto molte catene di fornitura dipendono in modo importante dalle produzioni industriali dell’Impero di Mezzo. Dopo la Cina è toccato all’Italia affrontare l’emergenza sanitaria, e come nel Paese asiatico abbiamo adottato misure che hanno ridotto la domanda di prodotti e servizi e bloccato l’offerta industriale, creando un circolo vizioso che potrà essere rotto solo dall’intervento pubblico. Ora non si contano più i Paesi in cui questo fenomeno si sta ripetendo. Non saranno sufficienti interventi macroeconomici e monetari, questi dovranno essere completati da pervasivi programmi d’intervento a livello microeconomico. Un nuovo modo per reagire alle crisi da parte delle istituzioni nazionali, ed ancor più sovranazionali, dovrà essere studiato ed implementato.
Vediamo ora dove stava la nostra nave del Made in Italy prima della tempesta. Secondo il Rapporto SACE- SIMEST di fine 2019 questa era in navigazione in mari leggermente mossi a causa di alcune perturbazioni geoeconomiche e tecnologiche, ma avrebbe dovuto raggiungere nell’anno 480 miliardi di export con un buon +3,2% rispetto al 2018. Solo pochissimi mesi fa, che in questi momenti sembrano un’era geologica, si pensava che il tetto dei 500 miliardi fosse alle porte. Invece, d’improvviso, è irrotto sulla scena il Covid-19 a scombussolare i piani.
Per l’Italia l’export rappresenta un’attività cruciale. Nell’Analisi dei Settori Industriali - Ottobre 2019 della Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo si rileva che nel 2018 le esportazioni pesavano per ben il 31,5% sul PIL a prezzi correnti, e che le PMI hanno contribuito per ben il 51% al loro totale, confermandosi un attore primario in questo processo che guarda all’estero per crescere.
I settori della moda, dell’alimentare, dell’arredamento e della meccanica, il Made in Italy, sono lo scheletro della struttura industriale italiana e da questa crisi ne usciranno sicuramente affetti, non possiamo sapere ancora come in quanto le politiche economiche nazionali ed europee avranno un’influenza determinante sugli effetti della crisi. Già questi settori avevano risentito nel 2019 del rallentamento dell’economia tedesca, dovuto in gran parte dalla crisi dell’automotive causata dal cambiamento di paradigma energetico e d’uso nel trasporto privato.
Fortunatamente la nostra struttura industriale è più diversificata e resiliente di quella tedesca, che dipende pesantemente dall’auto, ed ha saputo reagire in modo brillante alla situazione contingente, reindirizzandosi verso altri mercati geografici e puntando meno sull’automobile ed i settori ad essa collegati.
Ad esempio, il food&wine nel 2019 ha registrato un record di esportazioni, con un fatturato fuori dal nostro Paese che ha raggiunto i 44,57 miliardi di euro, con una crescita del 5,3% rispetto al 2018. Al contempo l’industria della moda, anch’essa fortemente dipendente dall’export e che conta in Italia più di 66 mila imprese con circa 600 mila addetti, ha venduto all’estero ben il 66% di un valore prodotto complessivo di 95 miliardi di euro. Numeri che nel 2020 non saranno possibili e che si dovranno recuperare con fatica nei trimestri del prossimo anno.
Per affrontare i fulmini e le onde del 2020 il Made in Italy necessita di nuove soluzioni, i rischi che deve affrontare sono molteplici ed insidiosi: il rischio di atrofizzazione della capacità produttiva, dovuta alla mancanza di domanda interna ed estera, la concorrenza insidiosa da parte di altri produttori per il riempimento del market share non più presidiato dall’offerta delle imprese italiane ed il nazionalismo protezionista in alcuni Paesi in grado di screditare i nostri prodotti, soprattutto per quanto riguarda il comparto agroalimentare. In questi giorni Coldiretti parla di 44,6 miliardi di esportazioni Made in Italy bloccate alle frontiere a causa dei limiti posti da un numero crescente di Paesi europei, anche se il fenomeno potrebbe avere una finestra temporale limitata. Nel breve periodo la continuità nel funzionamento a livello globale della GDO potrebbe dare respiro alle produzioni italiane che hanno perso, prima a livello interno e poi in tutti i Paesi toccati dall’emergenza Covid-19, tutto il canale Ho.Re.Ca..
Per affrontare la tempesta sicuramente non saranno sufficienti i 716 milioni di euro messi a disposizione a marzo da parte del Governo nel Piano straordinario per la promozione del Made in Italy 2020. Questo può essere solo un primo passo che però necessiterà sicuramente di ampliamenti nello scopo e nei finanziamenti. Comunque il piano prevede degli interventi interessanti:
• Sostegno al credito per le imprese che operano sui mercati esteri;
• Campagna straordinaria di comunicazione a sostegno dei prodotti Made in Italy e del turismo italiano;
• Partecipazione gratuita per tutte le imprese, fino a marzo 2021, alle iniziative all’estero di ICE;
• Dal 1 aprile 2020, inoltre, diventano gratuiti i servizi ICE in Italia e all’estero, per le aziende che hanno fino a 100 dipendenti;
• Rafforzamento della presenza dei prodotti italiani nella Grande distribuzione organizzata (GDO) dei mercati maturi;
• 20 milioni di euro per l'aumento della presenza delle imprese italiane sui market place;
• Aumento del sostegno alla partecipazione alle fiere virtuali che si stanno concretizzando dopo l’annullamento di quelle fisiche;
• Formazione degli influencer del mercato, soprattutto sull'agroalimentare;
• Riduzione della burocrazia per accedere agli incentivi per l'internazionalizzazione;
• Ulteriori azioni di lotta alla contraffazione del Made in Italy nel mondo grazie alla tecnologia blockchain;
• Prosieguo dell’attività del Fondo di venture capital per le startup innovative;
• Lancio di una campagna di comunicazione interna più incisiva verso le aziende italiane, per renderle maggiormente edotte sugli strumenti a disposizione per sostenere l'internazionalizzazione.
Analisi dei Settori Industriali - Ottobre 201
La tipologia di interventi che saranno necessari per rimettere il vento in poppa alla nostra industria in modo da mantenere, se non crescere, a livello di competitività globale dovranno essere di entità completamente diversa. La questione rapporto deficit/PIL perderà di significato, probabilmente per un periodo di tempo, lasciando agli attori politici la possibilità di intervenire per mantenere in vita il sistema industriale e sostenere la domanda. Numerose e referenziate sono le tesi che sostengono la necessità di interventi straordinari, dove per straordinario non si intende solamente l’ammontare dell’intervento ma la sua genesi ed il suo scopo. Analisi interessante che le mette in rassegna è fatta dal Professor Sdogati e dal dott. Langiu nell’articolo “Covid-19: Ora più che mai, Unione Europea” apparso su Scenari Economici il 20 marzo. Dall’articolo emerge che vi è la “necessità di un intervento pubblico di intensità e durata mai viste negli ultimi settanta anni. Quando un intero paese viene messo (giustamente) in quarantena, allora la produzione crolla, crollano i redditi di ogni gruppo sociale, crolla la domanda di merci e servizi. Per contrastare questo crollo, i rapporti deficit/PIL necessari faranno impallidire quel 3% su cui i governi europei, incoraggiati dai cosiddetti ‘economisti liberali’, hanno costruito la narrazione dell’austerità e della conseguente stagnazione – mutilando la sanità al contempo”. Tesi che mi sento di sposare.
Ma gli aiuti non saranno sufficienti, servirà ben più, sarà necessaria la conoscenza e la cultura d’impresa, unite alla capacità italiana nel trovare soluzioni in condizioni critiche. Le imprese che hanno delocalizzato dovranno ripensare le proprie catene del valore considerando in modo più accurato il fattore rischio, che in un’epoca come la nostra non deriva solamente da virus come il Covid-19 ma anche da altri virus come il nazionalismo, il protezionismo e l’ignoranza.
Unione Europea, Italia, imprese e cittadini dovranno lavorare assieme per adattarsi ad un nuovo paradigma di consumo/produzione, che non è detto debba essere peggiore di quello di prima.

  

23-03-2020
Autore: MAURIZIO COCIANCICH
Esperto di Supply Chain Management e co-fondatore di ELEVANTE - Supply Chain Innovators. Dal 2004 coordina il Master in Global Supply Chain Management and Logistics dell’Università IUAV di Venezia, dove e’ anche docente. E’ autore e curatore di numerose pubblicazioni nazionali ed internazionali.
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