Per cambiare l’Italia devono cambiare gli italiani

 di Laura Caldara

 Duecento quarantotto miliardi complessivi, sei missioni, riforme strutturali per un Paese che ancora soffre, messo in ginocchio da una pandemia che continua a far crescere ansie e timori di un futuro incerto.

Tanti buoni propositi per raggiungere un solo obiettivo. Far uscire l’italia il prima possibile da questo incubo. Ma sarà davvero così facile uscirne o è utopia mascherata di velleità solo per placare gli animi di un paese ormai all’estremo delle forze?

Quasi 120.000 morti per il Covid-19,”. Il Pil crollato dell’8,9% nel 2020, l’occupazione scesa del 2,8%, con i giovani e le donne che hanno pagato il prezzo più alto a questa crisi. Un’ Italia che ne esce impoverita, drammaticamente. “Tra il 2005 e il 2019 – indica infatti il premier – il numero di persone sotto la soglia di povertà assoluta è salito dal 3,3 al 7,7%, per poi aumentare fino al 9,4% nel 2020”.

E’ da questo scenario, direi da film di fantascienza, che si parte o almeno è quello che ci vogliono far credere. Ma diciamo di voler dare per vero quello che giornali e mass media comunicano, la domanda è: oltre quale sopportabile limite di tollerabilità deve arrivare la caparbia forza di volontà dei cittadini di farsi carico di un cosi gravoso fardello?

Il discorso di Draghi in Parlamento, in quella che rappresenterebbe una essenziale, quanto ridotta ai minimi termini comunicazione, non lascia spazio a forme diverse di interpretazioni: “non è possibile risollevare le sorti di questo paese solo con i fondi europei senza cambiare la mente di una Nazione”. Ma cosa vuol dire?

Da Cavour in avanti ci perseguita un compito storico immane: «Fatta l’Italia, occorre fare gli Italiani». Dopo l’Unità, questo compito si è ripresentato altre due volte: dopo la Prima guerra mondiale e dopo l’8 settembre 1943. Questa dell’anno 2021 è la quarta volta. Del resto, a voler rendere protagonista l’immaginazione, gli effetti del Covid non sono poi tanto lontani da quelli di una guerra perduta.

E’ come una bomba al neutrone, "pulita", che colpisce il DNA di ogni essere vivente lasciando in piedi gli edifici ma modificando il paesaggio sociale e psicologico dei cittadini.

Ma di quale velata preoccupazione etica, non sostenuta da certezze irreversibile, pulsa dietro il pacato accenno di Mario Draghi alla “corruzione, stupidità e interessi costituiti”, o dietro al discorso di commemorazione della Resistenza?.

Quale velata domanda o richiesta si nasconde dietro l’inquieta anima del Pnrr? Difficile comprenderlo con una comunicazione che fa del suo cavallo di battaglia il silenzio e la libera interpretazione delle intenzioni.

A noi l’onere e l’onore di preparare l’Italia di domani al risveglio? Diciamo che l’invito mi potrebbe piacere ed interessare ma qui si riapre, come una voragine, un antico quanto costante dilemma: affinché le persone cambino occorre cambiare il sistema o bisogna cambiare le persone perché il sistema cambi?

E’ come a dire: se il cuore non cambia, neppure la storia cambia il suo corso. Grosso modo è la conclusione a cui un giovane prete nel ’68, don Luigi Giussani arriva: «Le forze che cambiano la storia sono le stesse che cambiano il cuore dell’uomo».
Ecco che su questo pensiero filosofico arpeggiano i versi scritti da Alcide De Gasperi nel 1943, citato nel discorso di Mario Draghi quasi a voler non dar modo a qualsivoglia diversa interpretazione a tal consapevolezza: «L’opera di rinnovamento fallirà, se in tutte le categorie, in tutti i centri non sorgeranno degli uomini disinteressati pronti a faticare e a sacrificarsi per il bene comune». La Resistenza confermò che esisteva una splendida minoranza di quegli uomini, che avrebbero mostrato, come scriveva sempre il leader trentino, «le virtù del carattere». Un forte richiamo di Mario Draghi alla responsabilità: “Ma, nell’insieme dei programmi che oggi presento alla vostra attenzione, c’è anche e soprattutto il destino del Paese. La misura di quello che sarà il suo ruolo nella comunità internazionale. La sua credibilità e reputazione come fondatore dell’Unione europea e protagonista del mondo occidentale”. Il Pnrr “non è dunque solo una questione di reddito, lavoro, benessere, ma anche di valori civili, di sentimenti della nostra comunità nazionale che nessun numero, nessuna tabella potranno mai rappresentare. Dico questo perché sia chiaro che, nel realizzare i progetti, ritardi, inefficienze, miopi visioni di parte anteposte al bene comune peseranno direttamente sulle nostre vite. Soprattutto su quelle dei cittadini più deboli e sui nostri figli e nipoti. E forse non vi sarà più il tempo per porvi rimedio”.

Ma quale Stato miope non vedrebbe gli innumerevoli sacrifici a cui è stata sottoposta l’italia a causa di questo scenario a dir poco inverosimile. Come si può pensare di chiedere ad un’italia sofferente e sanguinante, di assumersi ulteriori responsabilità.

Come scriveva Paul Cèlan, «nessuno ci forma di nuovo, traendoci fuori da terra e fango, nessuno parla alla nostra polvere».

E’ uno sbaglio pensare che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, sia solo un insieme di riforme e progetti tanto necessari quanto ambiziosi, di obiettivi, di numeri, e scadenze.

Vi proporrei di leggerlo anche in chiave diversa. Metteteci dentro le vite degli italiani, le nostre ma soprattutto quelle delle donne, giovani e dei cittadini che verranno. Le attese di chi più ha sofferto gli effetti devastanti della pandemia.

Immaginate gli italiani soffocati dalla palude nell’immane, quanto impossibile, tentativo di sollevarsi ed uscirne, afferrandosi per i capelli.
Ma a quali capelli dovrebbero afferrarsi? Certamente lo Stato non dispone né degli strumenti né della sensibilità per costruire l’Italiano ma è il singolo che si deve disciplinare. È questa l’etica cristiano-liberale della responsabilità personale.

Tuttavia esistono dei laboratori collettivi, dove le persone imparano a diventare responsabili: sto parlando dei laboratori dell’educazione, quell’educazione nella cui essenza concettuale è contenuto un aprioristico ottimismo sulla natura umana: che dentro ogni essere umano c’è qualcosa di buono, che un’attenta disciplina maieutica può educere, facendo tirar fuori il meglio. Questi laboratori “educativi” sono le istituzioni sociali: famiglia, mass-media, scuola, associazionismo sociale, culturale, politico, i partiti; e politiche: lo Stato-amministrazione e lo Stato politico, la Legge.

Tutto deve partire dall’Abc: questi laboratori possono fornire ai cittadini, sempre più tentati di perdersi lungo i sentieri di un individualismo di massa, corporativo ed egoico, tutti gli strumenti e le occasioni per la costruzione del Sé responsabile. Purtroppo è solo un’utopia. Buoni propositi sostenuti da belle parole, buone intenzioni ma a sostenerle azioni inefficaci che non seguono il solo ed unico vero sentiero per il cambiamento: una sana e trasparente comunicazione a doppio senso: cittadini-Stato, dove da una parte si esprimono bisogni, esigenze, limiti, paure, richieste dall’altra soluzioni, rassicurazioni, supporto e ascolto.

La domanda nasce spontanea: ma se lo spirito pubblico è propenso all’ istupidito, non sarà forse perché probabilmente le redazioni di giornali sono stracolme di gente poco esperta, che parla del e al Paese senza conoscerne la storia, le reali esigenze, o perché i canali televisivi tendono a eccitare le emozioni perché incapaci di proporre conoscenze e cultura attraverso messaggi efficaci e di facile comprensione, o ancora ai social media recipienti saturi di insulti, fake news, malcontento, odio che immergono ancora di più i cittadini in questa lacustre palude mentre dovrebbero conoscere ed essere informati attraverso una comunicazione diretta che venga non solo ascoltata ma anche compresa?.

Questo è il solo ed unico modo per permettere ad un paese di conoscere gli strumenti per responsabilizzarsi e accettare di farsi carico di ulteriori fardelli.

Senza considerare secondario un’altro dei problemi gravi della società: la presenza di un sistema di istruzione inefficace, ordinamenti obsoleti, impreparazione professionale degli insegnanti e una governance burocratica del sistema.

Un’ignoranza comunicativa che approfittando di questa emergenza economica e sanitaria si è estesa a macchia d’olio. È un fenomeno di massa, che il Covid ha semplicemente rivelato ulteriormente e scoperchiato.

Ora, l’ex numero uno della Bce, chiamato a guidare l’Italia poco più di due mesi fa, si rivolge al Parlamento, allo “spirito repubblicano”, invita a superare interessi di parte e miopie. Sa bene, Draghi, che per ottenere quei 222 miliardi che Bruxelles, per realizzare riforme che si attendono da sempre e che da sempre sono appese sarà possibile solo se l’Italia avrà fatto con diligenza i compiti a casa.

In questo angosciante palcoscenico, a mio dire, non è sufficiente rivestire le vesti dell’ insegnante che rimarca la storia citando Alcide de Gasperi per far sentire ancora più frustrata una nazione già fin troppo lacerata. Come si può chiedere un sacrificio così immane se si tengono celate le regole del gioco attraverso l’uso di una comunicazione silente dove è permesso conoscere solo quello che decide l’insegnante.?

Aspirazioni di famiglie distrutte e preoccupate per il futuro dei loro figli sempre più portati alla deriva perché non vedono neanche la linea d’orizzonte del proprio futuro. Giovani la cui vita è diventata sterile deserto priva di stimoli. Sorde angosce di chi rivendica un lavoro che ha perso o che non gli permette di fare una vita dignitosa né per sé né per la sua famiglia. Il grido silente di chi è stato costretto a chiudere la propria attività accollandosi il fardello di una guerra che non ha mai voluto. L’ansia dei territori da tempo svantaggiati e sofferenti di affrancarsi da disagi e povertà: questa è la realtà in cui sta vivendo l’Italia.

Forse è arrivato il momento, se si vuole aspirare ad un vero cambiamento, di non lasciare che questa gente resti dietro le quinte da spettatore passivo ma che partecipi attivamente come attore. Se si pretendono più sacrifici, solidarietà e responsabilità, tutti devono essere posti nelle condizioni di poter sapere, conoscere e apprendere ciò che devono fare, quello a cui vanno in contro, attraverso un messaggio empatico, sincero, trasparente ed efficace che dia al cittadino la libertà di secernere, valutare e scegliere. Niente più menzogne, fake news, cose non dette o subdoli ricatti.

E quando Draghi dichiara: “Non è dunque solo una questione di reddito, lavoro, benessere. Ma anche di valori civili, di sentimenti della nostra comunità nazionale che nessun numero, nessuna tabella potranno mai rappresentare. Dico questo perché sia chiaro che, nel realizzare i progetti, ritardi, inefficienze, miopi visioni di parte anteposte al bene comune peseranno direttamente sulle nostre vite. Soprattutto su quelle dei cittadini più deboli e sui nostri figli e nipoti. E forse non vi sarà più il tempo per porvi rimedio”, Io dico che sono d’accordo ma a patto che ci sia complicità e comunicazione a doppio senso tra istituzioni e paese e non a senso unico.

Mi spiego meglio: ricordiamo la dichiarazione rilasciata da Draghi quando ad aprile alcuni giovani saltarono la fila dei vaccini al posto di persone più fragili?

Durante la conferenza stampa nella sua dichiarazione il Presidente del Consiglio, manifestò il suo disappunto sul comportamento di quei giovani. E’ che dire! Aveva perfettamente ragione a chiedersi “con quale coscienza” si facciano scelte del genere: è talmente giusto da essere persino banale. Ma nella comunicazione non esiste “solo” il contenuto ma ci sono anche il contesto e la metacomunicazione, che indipendentemente da quanto viene detto, definiscono la relazione tra chi parla e chi ascolta. 

Ebbene, il compito del Presidente del Consiglio non è quello di stigmatizzare comportamenti eticamente poco nobili, ma porre le condizioni affinché essi non si verifichino.

Molto più efficace sarebbe stata un'affermazione comunicata in modo chiara: “Dato che questi comportamenti non sono ammissibili per etica, morale e spirito civile, abbiamo adottato questi provvedimenti per prevenirli ed evitarli: (con annesso elenco)". Capite l’impatto? Il messaggio sarebbe stato il medesimo, ma la differenza sarebbe stata totale.

Il ruolo della politica non è quello di indicare comportamenti virtuosi, ma tutelare i diritti dei cittadini e garantire il benessere del proprio paese, facendo in modo che ne possano godere se da soli non sono in condizioni di esigere. E' scritto nella Costituzione, ma anche nel senso comune.

A mio dire la frase: “Si parla solo se si ha qualcosa da dire”, parole quasi un po' autoreferenziali con le quali Draghi si è presentato a Palazzo Chigi, è clamorosamente datata. Paul Watzlawick e la Scuola di Palo Alto, già negli anni 60 parlavano dei cinque assiomi della comunicazione, del quale il primo spiega che “è impossibile non comunicare” questo vuol dire che anche stando zitti, si manda un messaggio.

A sessant'anni di distanza, in un mondo dove la disintermediazione comunicativa e i social media fanno da protagonisti in una forma relazionale e colloquiale virtuale, essere così parsimoniosi nel concedersi al popolo è paleolitico. 

Fare le pulci a chiunque stia al Governo è il compito di giornali da sempre indipendenti, tuttavia il compito dell'informazione è un altro.

Per non dimenticare quando Mario Draghi non partecipò alla conferenza stampa sul Dpcm. Draghi firmò il decreto ma ad illustrarlo e spiegare le misure furono i ministri Speranza e Gelmini, nonostante si trattasse della presentazione di un Decreto del presidente del Consiglio dei ministri. Assenza in linea con lo stile comunicativo, o meglio, non comunicativo di Draghi.

Voci di corridoio fanno sapere che, il primo Consiglio dei ministri avrebbe persino puntualizzato: “Noi comunichiamo quello che facciamo. Non abbiamo fatto ancora niente e non comunichiamo niente”. Quel “noi” stava a significare che anche ai ministri e ai leader delle forze di Governo è richiesto un basso profilo. Come l’incontro avuto dallo stesso Mario Draghi con Matteo Salvini, dove manifestò il suo disappunto dal sostegno del leghista al movimento “Io Apro”, contro le chiusure serali dei ristoranti. Dopo l’incontro, il presidente avrebbe apprezzato il cambiamento di toni usati da Salvini.

A nulla serve motivare e giustificare tal silenzio dicendo che Draghi non è un politico e come tale non è alla ricerca di un consenso popolare. La comunicazione non serve solo a fare propaganda così come il consenso non serve solo a prendere voti.

L’assenza di comunicazione da parte di Draghi, potrebbe essere sicuramente una forma comunicativa ma non sempre efficace ed opportuna. Il silenzio potrebbe causare molti problemi a lui, al Governo e al Paese. Vediamone qualcuno

1 – Draghi potrà anche non comunicare, i partiti lo faranno al posto suo

Non c’è dubbio che per il momento Draghi sta riuscendo ad imporre toni bassi ai partiti. Ma quest’anno ci saranno le elezioni in alcuni Comuni importanti, fra i quali Roma, Milano e Napoli. Nel momento in cui la campagna elettorale entrerà nel vivo, i leader dei partiti alla ricerca disperata di consensi ammiccheranno alle categorie scontente e faranno grandi promesse. Solleciteranno quindi qualche ministro e lo stesso Draghi per dei cambi di linea nel Governo.

A quel punto, se Draghi non comunicherà, passerà solo la narrazione critica dei partiti e la sua popolarità crollerà. Con essa finirà anche la sua autorevolezza nei confronti della popolazione.

2 – Una nazione non è una banca

La banca è fatta di numeri freddi e sterili, la nazione è costituita da un popolo, da persone, che hanno dei sentimenti, emozioni, esigenze, pensieri. Se non sei capace di arrivare ai cuori dei cittadini, se non sai suscitare i giusti sentimenti, se non sai ascoltare i loro bisogni attraverso la tua comunicazione, non sarai compreso da essi: né deriva che loro non ti seguiranno.

La scorsa estate, dopo mesi passati tra le mura di casa, gli italiani sentivano forte il desiderio di libertà , quella libertà che tutti abbiamo pagato con la seconda ondata. Ma un nuovo lockdown in estate non sarebbe stato accettato dalla popolazione e di questo Conte ne era consapevole. Solo preoccupandosi dei sentimenti della nazione che si guida, si potrà essere efficacemente ascoltati e seguiti.

La comunicazione rassicurante ed empatica di Conte nella fase 1 è stato uno dei fattori chiave per disciplinare la popolazione che spontaneamente ha deciso di collaborare con le istituzioni per uscire da una realtà che li faceva sentire uniti. Conte infatti, nonostante i sacrifici che chiedeva agli italiani, era molto apprezzato.

Se Draghi non instaurerà una relazione solida con la popolazione, attraverso una comunicazione efficace e costante, troverà un muro che si fortificherà di paure, ansie, delusioni, sofferenza, malcontenti e non troverà un popolo disposto a seguire e aiutare le istituzioni. Per le strade le proteste aumenteranno e la situazione potrebbe finire fuori controllo.

3 – Se Draghi non comunica, come farà a smentire le fake news?

I social, i mass media, i giornali son diventati covi di fake news accuratamente create per confondere e eccitare emozioni e purtroppo colpiscono tutti in qualunque momento. Colpiranno anche Draghi. Per ora, quando usciranno delle bufale, sul lavoro di questo governo, saranno i partiti a fare il lavoro sporco di smentita. Saranno i social media e le uscite mediatiche dei leader delle forze di Governo, dei ministri politici e di qualche esponente di spicco a colmare il vuoto comunicativo lasciato da Draghi.

Ma cosa accadrà quando i partiti si rifiuteranno di farlo? Potranno esserci momenti in cui non smentire una fake news farà il gioco di alcuni leader o altri duranti i quali non vorranno prendere le difese di Draghi per scelte strategiche di potere.

Non dimentichiamo il caso di una fake news diffusa fortemente da Salvini e Meloni – quella sulla presunta attivazione del Mes da parte di Conte che costrinse lo stesso ex presidente del Consiglio a smentirla durante un’importante conferenza stampa a Palazzo Chigi. La domanda nasce spontanea: in presenza di una crisi comunicativa di una tal portata come si comporterà Draghi se non comunica?

Ma questi sono solo alcuni motivi per cui non comunicare in politica è dannoso per se stessi e per il Paese. La speranza è che al di là del primo assioma di Paul Watzlawick, il presidente Draghi ripensi al suo modo di comunicare e si mostri di più nelle case degli italiani, perché ora più che mai hanno bisogno di una guida presente, anche fisicamente, davanti ai loro occhi. 

01-06-2021
Autore: Laura Caldara
Avvocato esperto in leadership e comunicazione politica
meridianoitalia.tv