di Francesco Tufarelli

Variamente evocate negli ultimi dieci anni e cioè da quando l’UNCEM ne teorizzò l’adozione poi codificata nella Legge 221/2015 (il cosiddetto collegato ambientale alla legge di stabilità 2016) le Green Community vedono oggi la luce grazie ai Fondi del PNRR e alle prime indicazioni fornite dal Ministro Maria Stella Gelmini.
In realtà la fase sperimentale era già stata prefigurata nel progetto ITALIAE, elaborato dal Dipartimento per gli affari regionali fin dal 2014. Proprio tale progetto infatti individuava già nel 2019 nelle Green Community il suo più qualificato spin off verso la programmazione 2021-2027.

Pur tuttavia, grazie all’avvento del Next Generation EU, nel luglio del 2020 un apposito progetto, dedicato proprio alle Green Community, trovava posto all’interno del Piano nazionale di ripresa e resilienza.
Inizialmente venne presentato insieme al progetto riguardante le piccole Isole, oggi denominato “Isole verdi”, ma già nell’agosto i due progetti venivano distinti per seguire strade parallele.
Attualmente il progetto Isole verdi è gestito dal MITE che ha già provveduto all’elaborazione e pubblicazione dei primi bandi.
L’approvazione del progetto Green Community rappresenta indubbiamente una rivoluzione copernicana nella realtà normativa italiana.
Pur mutuando il nome dall’esperienza anglosassone il modello italiano si differenzia in maniera sensibile dalla realtà statunitense, ove le Green Community sostanzialmente definiscono spazi condivisi da più proprietari di abitazioni, per lo più contigue, che mettono in comune o comunque gestiscono congiuntamente un’area verde.
Coincidono invece alcuni obbiettivi infatti anche nella realtà anglosassone fra gli scopi vi è quello di valorizzare le aree con interventi prioritariamente a carattere ambientale.
Oggi, con l’individuazione delle prime tre Green Community sperimentali, che avvieranno sui loro territori una strategia di valorizzazione, si inaugura una fase nuova di sviluppo del Paese.
La strategia potrà coinvolgere la gestione forestale lo sviluppo di una comunità energetica o agricola, lo sfruttamento di risorse idriche o lo smaltimento dei rifiuti coinvolgendo nell’operazione soggetti pubblici e privati.
Il modello tende ad aprire un nuovo rapporto sussidiario e di scambio fra le realtà rurali e montane sede prevalente delle Green Community e le comunità urbane e metropolitane. Questo rapporto, che pone a carico delle Green Community l’onere e la responsabilità di gestire e sostenere beni che producono un valore aggiunto anche per i territori urbani e metropolitani introduce alla possibilità di una sorta di compensazione eventualmente anche economica a favore delle Green Community stesse.
E’ evidente che un tale assunto pone le Green Community fuori dal tradizionale concetto di area disagiata o sfavorita e rappresenta un’evoluzione anche rispetto alla strategia delle aree interne.
Le Green Community infatti hanno semplicemente una mission diversa da quella delle aree metropolitane diretta alla cura, alla tutela e alla valorizzazione di beni di cui fruisce l’intera popolazione nazionale e in tale logica vanno ricompensate.
Evidentemente un tale compito se da una parte configura un’obbligazione a carico delle aree metropolitane e dello stato nazionale, dall’altra parte come già detto impone responsabilità e obblighi di mantenimento importanti a carico delle Green Community.
L’obbligazione si evolve quindi in un vero e proprio patto fra realtà rurali e metropolitane. L’obiettivo è quello di disegnare un piano di sviluppo sostenibile attuato attraverso una strategia definita, che metta ordine fra tutti gli interventi ad oggi insufficienti e scoordinati provenienti da diverse amministrazioni.
L’importanza dell’obiettivo e la mole di lavoro da svolgere travalicano evidentemente le possibilità dei soli enti locali, che dovranno inevitabilmente coinvolgere nel loro sforzo figure diverse quali le autonomie funzionali, le Università, i centri studi e anche le aziende e le organizzazioni datoriali e di lavoratori, che potranno trovare spazio sia in fase di progettazione che di realizzazione o anche solo di sponsorizzazione dei diversi interventi.
Una tale strategia, impensabile fino a dieci anni fa, trova oggi un valido alleato nel principio cardine del Next generation e della programmazione 2021-2027 ambedue ispirati dall’obiettivo: un’Europa più verde.
Fondamentale sarà al riguardo il ruolo delle Università e dei centri di ricerca che dovranno fornire idee ed energie vitali per il nuovo modello organizzativo.
Dal successo di questa operazione dipende non solo il migliore sviluppo delle aree montane bensì il concetto stesso di rapporto fra le realtà diversamente produttive del Paese sostanzialmente una nuova e inedita alleanza fra territori con vocazioni diverse.
Il successo dell’operazione Green Community potrebbe costituire il trampolino di lancio verso un nuovo modello di Paese e la futura ideale configurazione di “Bleu Community” e di “White Community” riservate alle diverse aree del Paese.

Per ottenere il risultato sarà però fondamentale non restringere le Green Community in schemi troppo rigidi, in tal senso queste non rappresentano un unico modello organizzativo bensì un “mosaico” di formule organizzative.
Alle prime tre esperienze pilota e alle Università e Centri Studi che già presidiano il tema spetta il compito di tracciare la strada.

02-04-2022
Autore: Francesco Tufarelli
Presidente Centro Studi La Parabola
Docente Scienza dell’Amministrazione - Università Guglielmo Marconi
meridianoitalia.tv

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