di Valerio Di Porto

         Il Giorno della memoria 2021 arriva in capo a 10 mesi di pandemia, che ci costringono a celebrarlo sulle diverse piattaforme web anziché, come è tradizione, in affollate manifestazioni. Nei giorni immediatamente precedenti Emanuele Filiberto ha scelto di rompere un silenzio lungo 83 anni per chiedere scusa (per interposta persona) per la firma delle leggi razziali da parte di Vittorio Emanuele III, in una lettera di cui le istituzioni ebraiche hanno preso atto con freddezza talora diffidente, perché non rimargina una ferita troppo profonda e nel contempo lontana e attuale.

         In effetti, il gesto appare tardivo e fuori tempo massimo, dopo ostinati silenzi ed edulcorazioni delle leggi razziali, la cui gravità, in Italia, ancora oggi non è pienamente percepita, nonostante gli approfondimenti in sede storica e le iniziative per ricordarle.

         Negli ultimi mesi sono usciti due libri che raccontano storie emblematiche, per certi versi opposte e proprio per questo complementari: Claudio Siniscalchi («Ben venga la propaganda». Süss, l’ebreo di Veit Harlan e la critica cinematografica italiana (1940-1941)) ritrae una galleria di intellettuali che passano – in genere senza imbarazzo – da più o meno entusiastiche recensioni ad uno dei film più antisemiti della storia a posizioni antifasciste e talora filosemite; Paolo Aquilanti (Il caso Bontempelli. Una storia italiana) racconta la giornata nella quale il Senato vota per l’ineleggibilità di Massimo Bontempelli, reo di aver curato una antologia per le scuole ove il fascismo trova (ovviamente) spazio.

         È surreale la seduta dell’Assemblea del Senato del 2 febbraio 1950 che, a scrutinio segreto, non ne convalida l’elezione. La colpa di Bontempelli consiste nell’aver curato un’antologia per le scuole, edita nel 1935 e ristampata nel 1939, che incappa nelle maglie dell’art. 93, primo comma, n. 15 del testo unico delle leggi per la elezione della Camera dei deputati, cui l’art. 5 della legge elettorale per il Senato fa espresso rinvio: «non sono eleggibili per cinque anni dall'entrata in vigore della Costituzione», tra gli altri, «gli autori di libri o testi scolastici di propaganda fascista e i docenti di scuole di mistica fascista».

         È una legge che produce effetti paradossali: l’antologia di Bontempelli è sottoposta ad una impietosa vivisezione per evidenziarne la letale portata propagandistica a favore del regime, senza nessun confronto con altre antologie e prescindendo dal contesto, dalle relazioni degli intellettuali con il fascismo, dalle compromissioni e dai cedimenti di tanti. Soprattutto, non viene mai invocato a difesa di Bontempelli il rifiuto tanto unico quanto clamoroso della prestigiosa cattedra di letteratura italiana all’università di Firenze, lasciata libera da Attilio Milano, espulso dalla carriera accademica in forza delle leggi razziali promulgate, come tutte le leggi fasciste, da Vittorio Emanuele III. Viene perfino da pensare che l’accanimento con cui diversi senatori si scagliano contro Bontempelli derivi dalla voluttà di attaccare l’unico che ebbe il coraggio di rifiutare una cattedra e di dirlo pubblicamente.

         Così, mentre Bontempelli è dichiarato ineleggibile, Giorgio Almirante, segretario del comitato di redazione della famigerata rivista “La difesa della razza” è eletto alla Camera, ininterrottamente, dalla I alla X legislatura, e Gaetano Azzariti transita dalla presidenza del tribunale della razza alla presidenza della Corte costituzionale.

         Michelangelo Antonioni, Enzo Biagi, Luigi Chiarini, Sandro De Feo, Ercole Patti: sono solo alcuni dei recensori del film di Veit Harlan Süss, l’ebreo, tutti intellettuali destinati a brillanti carriere nell’Italia repubblicana, a dispetto di compromissioni più o meno forti col regime fascista e con la sua politica razziale. Fanno parte, insieme a tanti altri, della schiera dei redenti (richiamo l’illuminante monografia di Mirella Serri I redenti. Gli intellettuali che vissero due volte. 1938-1948).

         Claudio Siniscalchi racconta il clima intellettuale di fine anni trenta - inizio anni quaranta, l’atteggiamento complessivamente acquiescente di fronte alle leggi razziali, l’adesione al regime tra opportunismo e convinzioni ideologiche, in qualche caso le ambivalenze e gli equilibrismi con cui l’Italia non è ancora riuscita a fare interamente i conti. È mancata una Norimberga italiana e con essa la spinta a confrontarsi seriamente e coscienziosamente con un passato scomodo, che si è teso – salvo meritorie eccezioni – più a rimuovere che a evidenziare.  

Pierluigi Battista, nel volume Cancellare le tracce. Il caso Grass e il silenzio degli intellettuali italiani dopo il fascismo, riporta le incisive parole di Vittorio Foa, mai recriminatorio – ricorda l’autore – nei confronti dei suoi coetanei che facevano carriera mentre lui era rinchiuso nelle prigioni fasciste: «Dall’arrivo delle truppe alleate, nel 1943, al 1948 l’Italia liberata dal fascismo si è affollata di illustri antifascisti che si distinsero, appunto come antifascisti, nel teatro della cultura italiana».  

         «A parte Croce e i pochi reduci dall’esilio e dalle carceri, non uno di quegli illustri antifascisti aveva detto una sola parola contro la cacciata degli ebrei dalle scuole, dalle università, dal lavoro, contro quella che è stata un’immonda violenza”, prosegue. “Mi riesce difficile rinunciare a questo discorso anche se non so bene perché diavolo lo faccio. Forse non sto cercando una condanna morale ma il riconoscimento di un fatto».

         Proprio al riconoscimento del fatto abnorme delle leggi razziali, con lo sguardo proiettato sulle recrudescenze razziste e antisemite dell’oggi, hanno puntato le celebrazioni del Giorno della Memoria negli ultimi anni, grazie anche all’impegno dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane e soprattutto della sua presidente, Noemi Di Segni. Qualche risultato è stato raggiunto: sono state molte le iniziative per prendere coscienza nel profondo di quanto avvenuto, da parte soprattutto della magistratura, degli avvocati e delle università; la lettera di Emanuele Filiberto, ambigua e tardiva, almeno e finalmente riconosce quel fatto, monito imperituro oggi più che mai attuale.

26-01-2021
Autore: Valerio Di Porto
Affiliato all'Istituto Dirpolis (Scuola superiore di Studi universitari e di Perfezionamento Sant'Anna di Pisa)
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