di Giuseppe Morabito

Una delle ultime attività di Mike Pompeo, come Segretario di Stato del Presidente Trump, ha coinciso con l’affermazione che la repressione cinese degli Uiguri nello Xinjiang è un "genocidio".

Antony Blinken, candidato a succedere a Pompeo, ha affermato di concordare su questa visione. Nel caos della litigiosa transizione presidenziale, Washington ha quindi adottato il linguaggio più deciso di qualsiasi altra capitale nella sua descrizione degli avvenimenti che stanno accadendo nell’ovest della Cina. Questo aumenterà le tensioni nell’area e potrebbe complicare le relazioni tra Pechino e la nuova amministrazione USA. L'uso del termine "genocidio" da parte di Pompeo non obbliga Biden a intraprendere ulteriori misure nei confronti  di Pechino per la repressione degli uiguri, un gruppo etnico principalmente musulmano, ma le dichiarazioni concordanti di Pompeo e Blinken indicano un cambiamento radicale nell’approccio di Washington allo Xinjiang, dove più di un milione di uiguri sarebbero stati inviati nei campi per "de radicalizzazione" e dove le donne sarebbero state sottoposte a sterilizzazioni forzate e aborti per limitare la crescita demografica.

La convenzione sul “genocidio” delle Nazioni Unite definisce il termine in modo molto ampio, in modo che non debba implicare alcun omicidio ma contano le “misure volte a prevenire le nascite”, purché l'obiettivo sia quello di “distruggere, in tutto o in parte”, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso.

Infatti, il Dipartimento di Stato americano aveva fino ad oggi descritto come genocidio solo atrocità come il massacro di Tutsi in Ruanda o Yazidi da parte dei terroristi del cosiddetto “stato islamico”.

La Cina ha reagito fermamente. Il 21 gennaio ha imposto sanzioni a 28 americani, tra cui Pompeo e altri funzionari dell'amministrazione USA.

Altro fatto che s’inserisce nella rinnovata polemica tra le due grandi potenze economiche mondiali è che Hsiao Bi-khim, ambasciatrice di Taiwan negli Stati Uniti, è stata formalmente invitata alla cerimonia inaugurale del presidente americano Biden. Gli organi d’informazione di Taipei hanno definito questo invito come una mossa senza precedenti da quando nell’ottobre del 1971 l’ONU con la risoluzione 2578 ritirava il riconoscimento a Taiwan e riconosceva la Repubblica Popolare Cinese come unico governo riconosciuto della Cina.

L’Ambasciatrice di Taipei ha pubblicato un video girato durante la cerimonia di Washington, dichiarando di essere "onorata di rappresentare il popolo e il governo di Taiwan all'inaugurazione della presidenza Biden”. “La democrazia è il nostro linguaggio comune e la libertà è il nostro obiettivo comune", ha aggiunto l’ambasciatrice. Il ministero degli Esteri di Taipei ha reso noto che per la prima volta, da decenni, un rappresentante taiwanese veniva "invitato formalmente" dal comitato organizzatore della cerimonia.        

La Presidente Tsai Ing-wen attraverso gli organi del suo partito, di matrice progressista, ha indicato l’evento come "una nuova svolta in 42 anni" che, a parere di chi conosce l’area e le sue vicissitudini, ha un impatto ancora più forte della telefonata fatta dall’appena eletto presidente Trump alla Presidente Tsai quattro anni fa.

Anche questo evento pare destinato a provocare la reazione della Cina che considera la democratica e libera Taiwan, con i suoi 23 milioni di abitanti e una fiorente economia, una provincia ribelle, da riunificare, se necessario, anche con la forza. 

In questo quadro va inserito anche il trattato commerciale d’investimenti con la Cina che il mese scorso l'Unione Europea ha concordato purtroppo senza citare negli accordi, come però fatto in altri casi, la questione del rispetto dei diritti umani. “Due pesi e due misure” da parte di molti paesi UE, anche membri della NATO, che probabilmente non hanno fatto piacere a Washington.

Il Presidente Biden, un cattolico praticante, potrebbe avere un'opinione più stringente dal suo predecessore e dell’Unione Europea sull’argomento e al contempo mantenere la linea di fermezza sulla difesa dell’isola di Taiwan.

Un’occasione importante per compiere una pressione diplomatica nei confronti della Cina potrebbe essere di ventilare il boicottaggio delle Olimpiadi invernali che si terranno proprio in Cina tra un anno (febbraio 2022). Alcune organizzazioni che agiscono per la difesa dei diritti umani hanno chiesto il boicottaggio e alcuni senatori americani hanno domandato che i giochi siano spostati in un altro paese, dallo staff del Presidente Biden non è ancora trapelato nessun commento.

Il 12 febbraio inizia l’anno cinese dedicato al Bue (o al Bufalo) e contraddistinto per la cultura mandarina da “Diligenza” e “Lealtà “.

Vedremo se il governo di Pechino deciderà di applicare questi due principi nella sua politica interna ed estera ricordando il famoso proverbio cinese “A ogni male è necessario un medico: il tempo”.

Il tempo di un anno…alle Olimpiadi invernali.

25-01-2021
Autore: Giuseppe Morabito
Generale dell’Esercito Italiano
Membro del Direttorio della NATO Defence College Foundation
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