Forse no… ma meglio continuare a parlare della possibile crisi nell’Indo-Pacifico.

di Giuseppe Morabito

Per più di 70 anni, Taipei e Pechino hanno evitato di scontrarsi dopo che si erano separate

dal 1949, quando la guerra civile cinese, iniziata nel 1927, finì a seguito della vittoria dei comunisti e la conseguente ritirata dei nazionalisti a Taiwan.

Da quel momento lo Stretto di Taiwan, con una larghezza minima di 81 miglia, è divenuto un’area di contrapposizione continua ma mai di una guerra totale (sono state due ‘”crisi” nel 1954 e 1958 con bombardamenti di artiglieria).  Negli anni che hanno preceduto la pandemia da “virus di Wuhan”, le relazioni nello Stretto sono state relativamente stabili e la contrapposizione raramente portata alla ribalta delle cronache internazionali se si esclude la crisi diplomatica del 1995 sulla teoria di “una sola Cina”. Nella speranza di persuadere i taiwanesi del buon esito di una eventuale unificazione, la Cina Popolare ha messo in piedi, negli anni, un’azione politica tesa alla "pacifica riunificazione", cercando di fortificare i rapporti economici, culturali e sociali con la Repubblica di Cina -Taiwan.

Durante questo tentativo Pechino ha, però, cercato di isolare Taiwan  a livello internazionale, offrendo, agli stati che erano rimasti in rapporti diplomatici con Taipei, aiuti geo-economici se gli stessi avessero accettato di abbandonare l’isola passando ad una relazione stabile con Pechino. Tale “manovra” di isolamento è riuscita, per alcuni, ad esempio con Panama.

La Cina Popolare forte della sua crescita in campo commerciale ha, quindi, messo in atto in maniera pesante il “soft power”  geo-economico per porre in secondo piano Taiwan in tutte le organizzazioni internazionali, a partire dell’ ONU, e conferire spessore sempre maggiore alla teoria del Comitato Centrale del Partito comunista, quella che esiste “una sola Cina”.

Fino ad ora, tutto è stato fatto senza mai passare all'azione militare del tipo ‘guerra totale” anche se molti esponenti del governo cinese hanno sempre sostenuto che Pechino ha tutto il diritto di usare la forza e, nonostante questa minaccia, l’uso delle armi sembrava, fino a poco tempo fa, fuori discussione.

Negli ultimi mesi, purtroppo, ci sono stati segnali preoccupanti in merito al fatto che Pechino stia riconsiderando il suo “approccio pacifico” e stia iniziando seriamente a ipotizzare l'unificazione con l’uso della forza. Il presidente cinese Xi Jinping ha fatto sapere che e’  sua intenzione dare conclusione alla “questione di Taiwan” e, agendo conseguentemente in modo notevolmente più aggressivo sulle questioni di sovranità della Cina Popolare, pare evidente che stia ordinando al suo esercito di intensificare le attività “di disturbo della pace” tentando di far cadere Taiwan nella tentazione di rispondere alle provocazioni  creando conseguentemente un “casus belli” (554 incursioni di velivoli di Pechino al limite dello spazio aereo di Taiwan, da settembre 2020 a luglio 2021).L’evidente cambiamento della Cina Popolare è stato anche reso possibile dall’attività  di modernizzazione militare messa in atto allo scopo di condurre un’opera di deterrenza verso Taiwan e ottenere un cedimento alle lusinghe di Pechino. Le forze cinesi intendono raggiungere un’egemonia, quantomeno in senso areale, nel Mare Indo – Cinese sottraendo agli Stati Uniti la predominanza strategica in quel quadrante geografico, dove  Washington ha sempre sostenuto l’apparato difensivo di Taiwan ma ha anche lasciato aperta la questione sulle reali intenzioni di difendere l’isola intervenendo militarmente.In questo settore specifico, va ricordato che Taiwan oggi dispone dei modernissimi aerei  F16 V forniti da Washington così come i sistemi missilistici di difesa costiera Harpoon e i carri armati di ultima generazione M1A2T. Inoltre, è nota la capacità operativa dei sommergibili,  costruiti in proprio da Taiwan, e, soprattutto, che le potenzialità di Taipei nella guerra cibernetica hanno raggiunto livelli di assoluta eccellenza in ambito mondiale. Nei giorni scorsi, dopo un “faccia a faccia” via etere con il presidente Xi, il presidente americano Biden ha, comunque, ribadito che la posizione USA rimane quella indicata dai suoi predecessori : difendere l’indipendenza della democrazia di Taiwan.Atteso che oramai bisognerebbe dar credito a quanto, più volte ribadito da Xi davanti al  Comitato Centrale del partito comunista si può considerare un tentativo di attacco, anche se non immediato, una possibilità reale.Il governo americano  potrebbe anche sperare che Pechino si ritragga di fronte ai potenziali costi di tale aggressione, ma ci sono buoni motivi per pensare che il ripensamento potrebbe non avvenire in quanto parrebbe che ci siano degli indicatori che evidenziano che stia crescendo il sostegno all'unificazione armata di Taiwan sia tra i vertici delle forze armate sia nell’opinione pubblica della Cina Popolare.Nel mondo post pandemia non c’è l’evidente preoccupazione di attenersi alle regole internazionali e c’è chi, a Pechino, dubita che gli Stati Uniti agiranno per impedire alla Cina Popolare di assalire Taiwan sia per un deficit di potere militare (sensazione accresciuta dal fallimento dell’amministrazione Biden in Afghanistan) sia per una conseguente  diminuzione del potere di persuasione in campo internazionale tale da essere da traino per mobilitare un efficace coalizione contro la Cina  Popolare, questo soprattutto dopo la fine della presidenza Trump. Anche se, come detto, un'invasione cinese di Taiwan potrebbe non essere imminente, per la prima volta in trent’anni, è tempo di prendere sul serio la possibilità che la Cina possa, prima o poi, utilizzare le armi per porre fine alla sua “contesa civile” quasi centenaria.Coloro che dubitano dell'immediatezza della minaccia a Taiwan sostengono che Xi non ha dichiarato pubblicamente una tempistica per l’unificazione, e potrebbe anche non averne una specifica in mente. Chi ha conoscenza dei taiwanesi e lo spessore dei quadri delle Forze Armate di Taipei è certo che anche Pechino sa che il “prezzo da pagare” per la Cina Popolare per mettere in atto la fase armata dell’unificazione sarebbe altissimo. Dopo aver “occupato Taiwan” bisognerebbe poi “controllare” il paese e imporre il comunismo cinese come sta avvenendo ad Hong Kong. Non è facile e il dispendio di forze sarebbe ingentissimo perché a Taiwan ci sono circa tre volte gli abitanti della Città Stato e il territorio è molto più vasto.Come già accennato la Repubblica di Cina – Taiwan non ha perso tempo e oramai produce in proprio i sistemi d’arma per difendersi da un eventuale attacco nelle quattro dimensioni della guerra moderna ( Terra, Aria, Mare e Cyber-spazio) e inaugurerà’ il prossimo gennaio un Agenzia di Difesa e Mobilitazione (ADMA) per raggiungere l’obiettivo di possedere la capacità  di essere efficace in tempo di pace e di guerra incrementando il livello e la prontezza di difesa delle forze di riserva in caso di una mobilitazione.Curioso, ma non sorprendente, che anche la Russia e il suo Presidente abbiano un approccio similare sulla questione Ucraina. Con l'obiettivo immediato di impedire all'Ucraina di attraversare la "linea rossa", tracciata da Mosca, entrando formalmente nella NATO, nel settembre 2021 il Presidente Putin negava che l'Ucraina fosse mai stata uno stato indipendente e fosse, quindi, parte integrante della Russia.Le “aggressive” esternazioni di Pechino e Mosca sono state rimarcate anche dal Segretario Generale della NATO Stoltenberg in un recente discorso a Roma: “Russia e Cina stanno attuando un’azione autoritaria contro l'ordine internazionale…” .

26-11-2021
Autore: Generale Giuseppe Morabito
Membro del Direttorio della NATO Defence College Foundation
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