di Federiga Bindi

A circa un mese dal voto, con il primo dibattito presidenziale, la campagna elettorale è entrata nella fase cruciale. Il temine dibattito presidenziale non è tuttavia appropriato per lo spettacolo impietoso e disgustoso a cui gli americani si sono trovati ad assistere.

A livello formale, gli americani, come in genere gli anglosassoni, tendono ad essere eccessivamente gentili ed educati. Please, thank you e kindly sono diffusi in quantità ed i toni soft sono la norma. Nessuno era quindi preparato al livello verbale di aggressività e volgarità a cui abbiamo assistito. Donald Trump ripetutamente ha interrotto Joe Biden mentre parlava, nonostante i continui richiami del moderatore, finchè lo stesso Vice Presidente è sbottato: “Will you shut up, man?”

Inutile e doloroso ripercorrere le offese e le bugie pronunciate dal Presidente, ma il risultato è uno stato di shock. Negli Stati Uniti, il presidente non è solo il capo politico, ma anche quello morale, ed il suo comportamento influenza il comportamento collettivo. Proprio per questo gli Obama avevano insistito persino su cose quali la necessità di una corretta alimentazione e di un impegno di entrambe i genitori nella gestione dei figli. Ora, che Trump nei suoi comizi sparasse balle e fosse volgare e razzista, si sapeva. Ma una cosa è che lo faccia con i suoi seguaci – quei suprematisti bianchi che in pieno Coronavirus, vanno ai comizi senza mascherina – un’altra è vederlo a casa propria, in mondovisione.

In un paese normale, potremmo stare certi della vittoria dell’avversario, ma gli Stati Uniti non sono più un paese normale. E, dopo il 2016, la preoccupazione regna sovrana, anche perché non si vede, se non a sacche, il sollevamento del popolo Dem.

Innanzitutto, il sistema elettorale: per vincere le elezioni non è sufficiente, e paradossalmente neanche necessario, vincere il voto popolare: è necessario vincere i collegi elettorali e questa è tutta un’altra storia specie perché i liberal tendono ad essere concentrati nel nord-est e nella California, non abbastanza per vincere.

Secondo la paura: nel 2008, il segno evidente che Obama avrebbe vinto era il numero di cartelli Obama-Biden di fronte alle case. Come nel 2016, questi cartelli appaiono oggi scarsi nelle aree progressiste come Washington DC, e inesistenti nelle zone conservatrici. Interrogati, i dem affermano di aver paura che, esponendo un cartello Biden-Harris, i facinorosi gli danneggino la casa o la macchina, o li attacchino verbalmente o fisicamente.

Questa è l’America oggi. Aleggia lo spettro di un passato doloroso, a cui Trump allude nei suoi discorsi, incluso nel dibattito, quando si rifiuta di condannare i suprematisti bianchi o afferma che dobbiamo tornare indietro. Indietro dove? ad un paese segregato, proprio adesso che si stava finalmente cominciando a integrare, grazie al sempre maggiore numero di coppe miste tra i giovani? Indietro ad un mondo in cui le donne sono sottomesse ai mariti e non possono neanche avere la carta di credito come vorrebbero le Hand Maidens di cui fa parte il probabile prossimo giudice della Corte Suprema Amy Barrett? Indietro ad una società che condanna qualunque diversità di orientamento sessuale?

L’America dei film di Hollywood – la migliore opera di public diplomacy di cui il paese disponga - è lontana anni luce dalla realtà: oggi ancora più di prima. Secondo i dati dell’OECD, l’indice di mobilità sociale – ovvero il tempo necessario ad una persona nata in povertà per arrivare ad avere il reddito medio nazionale – è pari a quello dell’Italia e del Portogallo: cinque generazioni[1]. Il divario tra scuole pubbliche buone e scarse – le scuole vengono generalmente finanziate con le tasse sulla proprietà immobiliari, quindi nei quartieri poveri le scuole soffrono - è ancora alto. L’educazione post-secondaria ha costi ormai proibitivi anche per la classe media, aumentando ulteriormente le disparità sociali[2]. L’accesso alla sanità – generalmente legata al posto di lavoro – è crollato nel momento in cui più ce ne sarebbe bisogno, con il Corona virus. Trump vorrebbe eliminare anche quel che rimane di Obama care e, possibilmente, pure Medicaid, la sanità pubblica per i poveri.

Nel frattempo, l’Ovest brucia e in tante città ci sono le guerriglie urbane, sfruttate ad arte – quando addirittura non alimentate – da Trump ed i suoi seguaci. Gli stessi che stanno cercando di rendere difficile il voto delle minoranze etniche, afroamericani in primis, che sono storicamente massicciamente democratici e che potrebbero determinare – o negare – la vittoria a Joe Biden. Per quanto il diritto di voto sia un diritto costituzionalmente garantito, infatti, l’effettivo esercizio dello stesso può essere limitato – e lo è stato in tutto il sud fino al Civil Rights Act del 1964 – con espedienti diversi, ad esempio richiedendo un documento di riconoscimento con foto, che negli USA non è obbligatorio avere - rendendo difficoltosa l’iscrizione nelle liste elettorali.

A causa del Covid, molti stati stanno poi incoraggiando il voto per corrispondenza, addirittura stati chiave come il Colorado stanno mandando i moduli per il voto per corrispondenza a tutti gli elettori. Tuttavia i repubblicani, più propensi a negare la pericolosità del Covid, andranno a votare di persona in numeri superiori ai democratici. Inoltre, voteranno per corrispondenza gli “essentials”, cioè le persone che non possono permettersi di saltare un giorno di lavoro per stare in fila votare. Questi sono, nella stragrande maggioranza, minoranze etniche, tendenzialmente democratiche. Il risultato è che i voti per corrispondenza saranno democratici in percentuale assai maggiore rispetto al voto espresso di persona. A rendere le cose ancora più complicate, i voti per corrispondenza vengono generalmente conteggiati dopo quelli espressi di persona, con la conseguenza che avremo due risultati: quello della notte del 3 novembre, e quello globale che arriverà dopo qualche giorno, con evidente rischio di contestazione da parte dei repubblicani. In questo scenario Trump, che anche nel dibattito ha tentato di delegittimare il voto per corrispondenza, avrà facile gioco a dire che le elezioni sono state truccate e a non accettare il risultato. Non è escluso che, vedendosi perdente, Trump chiami “il suo popolo” a difenderlo, popolo che mentre i democratici compravano mascherine, compravano armi da fuoco.

In tal caso, diventa fondamentale il ruolo della Corte Suprema. La procedura prevede che in caso di contestazioni o incertezza nel risultato, la Corte possa concedere un nuovo spoglio elettorale. Nel 2000, negando tale possibilità alla Florida, la Corte determinò di fatto la vittoria di G.W. Bush su Al Gore. Secondo molti esperti elettorali, è verosimile che questo autunno vi saranno richieste di nuovi spogli in numerosi stati, cosa che farebbe della Corte Suprema l’arbitro finale delle elezioni. Anche per questo, Trump si è affrettato a nominare l’ultraconservatrice Amy Barrett, ed il Senato farà di tutto per confermarla affinché possa apportare il sesto voto conservatore alla Corte Suprema in tempo per il 3 novembre.

 

[1] http://www.oecd.org/social/broken-elevator-how-to-promote-social-mobility-9789264301085-en.htm

[2] http://www.socialmobilityindex.org/

30-09-2020
Autore: Federiga Bindi
Senior Fellow & Director, Foreign Policy Initiative, Institute for Women’s Policy Research & Professore e Cattedra Jean Monnet, Università di Roma Tor Vergata
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