di Federiga Bindi

Il nervosismo in America è palpabile, si trattiene il fiato aspettando i risultati del voto. Le città sono “boarded”, con le finestre coperte da grandi pannelli di legno. Ci si attendono violenza e combattimenti urbani. Intellettualmente si sapeva, e ne avevamo scritto, che avremmo avuto una situazione di attesa e stallo ma una cosa è saperlo a livello razionale, un’altra è viverlo.
In America ci sono tre modalità per votare: il voto in presenza il primo martedì di novembre, il voto anticipato in persona ed il voto per corrispondenza. Le modalità di questi voti cambiano da stato a stato. A sabato 1 Novembre, oltre il 60% dei votanti del 2016 avevano già votato, la più alta percentuale di voto anticipato della storia americana. Questi voti anticipati sono a netta maggioranza democratica – tanto che Trump ha continuato a ripetere che il voto anticipato equivale a frode – anche se così non è ed è addirittura possibile seguire l’iter del proprio voto e sapere quando è arrivato a destinazione e quando è stato contato.

Come e quando vengono contati i voti cambia da stato a stato. In molti stati, il voto anticipato in persona è stato contato prima – dando l’illusione che Biden potesse vincere la Florida. Quindi è stato contato il voto in presenza del 3 Novembre. Infine, restano da contare i voti per posta – e anche qui le modalità cambiano da stato a stato. In alcuni stati le buste devono arrivare entro la data del voto in persona, in altri basta che siano inviati per quel giorno. Le Poste stanno tenendo in ostaggio 300.000 voti, nonostante un ordine della Corte di spicciarsi a processarli. In tutti gli stati chiave i voti per posta ancora devono essere contati, e addirittura in Pennsylvania e North Carolina la legge prevede 10 giorni per completare la procedura.
Entrambe le parti si preparano a contestazioni e richieste di riconteggi, ed hanno già assoldato schiere di avvocati. In alcuni casi – come la Florida per Al Gore, verosimilmente la Pennsylvania quest’anno – è teoricamente possibile arrivare fino alla Corte Suprema, quello che spera Trump, che può contare su una Corte a solida trazione conservatrice dopo la non a caso affrettata nomina di Amy Barrett. Vi è, poi, evidenza di tentativi da parte di repubblicani di pratiche (ad esempio il provisional ballot) per invalidare il voto democratico, per non menzionare tattiche da Jim Crow per rendere difficoltoso l’esercizio del voto o invalidare le schede dei neri. Negli USA, infatti, poiché si deve dichiarare la propria affiliazione politica è molto facile sapere cosa uno verosimilmente voterà.
In attesa di avere il dato definitivo e lo spaccato del voto stesso, alcuni dati appaiono evidenti.
La Camera dovrebbe verosimilmente restare nelle mani dei Democratici, ed il Senato in quelle dei Repubblicani, anche se i Dem guadagnano due Senatori (John Hikenlooper in Colorado e Mark Kelly in Arizona) e ne perdono uno. Per colui che sarà Presidente non sarà facile governare, ma lo sarebbe ancor meno per Biden, che potrebbe, tra le altre cose, avere grandi difficoltà a vedere le sue nomine governative approvate dal Senato.
Non tutti quelli che hanno votato Hillary hanno votato Biden (ad esempio i latini in Florida) ma c’è anche chi aveva votato Trump nel 2016 che adesso ha votato Biden (ad esempio i latini nel West).
Con ancora molti voti da contare, Biden vince il voto popolare e con più voti di Hillary Clinton nel 2016: oltre 69 milioni, contro i 65 milioni di Hillary. Ma la cosa più inaspettata è che – nonostante tutto - anche Trump ha aumentato i suoi voti: 66 milioni contro i 62 del 2016. Per quanto il COVID abbia cambiato le carte in tavola - un americano su quattro non riesce a pagare le proprie spese, una percentuale che tra i lavoratori meno abbienti sale a quasi uno su due - nei primi tre anni della presidenza Trump è continuata la crescita iniziata nel 2010 con Barack Obama. I principali beneficiari dei primi anni della Presidenza Trump sono i lavoratori non specializzati ed a basso tasso di scolarizzazione, bianchi che rappresentano anche lo zoccolo duro del suo elettorato – ad esempio in aree come il West Virginia (oltre ai super milionari) e questi continuano a sostenerlo, verosimilmente nell’assunzione che le cose torneranno presto alla situazione pre-Covid (che infatti Trump dice sia ormai finito…).
Nel suo The Fractured Republic, Yuval Levin osserva che, in certe parti della popolazione vi è una nostalgia degli anni ’50 e ’60, l’età d’oro della classe media (bianca). Mentre la presidenza Obama faceva fare un salto progressista al paese, la maggioranza silenziosa e povera bianca covava risentimento. Basta uscire dalle strade trafficate negli Stati Uniti per toccare con mano una povertà da terzo mondo che difficilmente chi pensa di conoscere gli USA guardando i film o viaggiando da turista può immaginare. Villaggi di trailers fatiscenti e magari senza bagno che popolano ogni angolo del paese. Bianchi senza educazione e senza prospettive in un mondo in continua evoluzione e specializzazione hanno dato la colpa della loro miseria al presidente nero. La disegregazione, mai veramente digerita, è tornata a galla assieme a schiere di white supremacists. Donald Trump ha saputo cogliere, ed ha soffiato sul fuoco, di questa insofferenza, ed evidentemente, il giochino gli è riuscito anche quest’anno.
Il grande rischio è - qualora dovesse giocoforza accettare la sconfitta, un Trump ferito nel suo orgoglio narcisista e incattivito avrebbe oltre due mesi per lasciare un paese sottosopra e forzare le regole costituzionali, ad esempio auto dandosi il “perdono” in modo da evitare le patrie galere (fronde fiscale, violenze sessuali sono solo alcuni dei casi che lo aspettano) una volta che venga meno l’immunità presidenziale. La grande democrazia americana non sarebbe più tale e la strada verso la riconciliazione sarebbe lunga ed impervia.
 
Federiga Bindi

04-11-2020
Autore: Federiga Bindi
Direttore, Foreign Policy Initiative, Institute for Women’s Policy Research
Professore di Relazioni Internazionali e Cattedra Jean Monnet Chair, Università di Roma Tor Vergata
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